Valentino e Armani, dopo aver aiutato l’Italia nel periodo del coronavirus, ora propongono metodi innovativi per presentare le collezioni e soprattutto una pausa di riflessione per la produzione.
Siamo nella fase 2, del coronavirus, come la moda ha vissuto l’emergenza e come si appresta a vivere quest’altra fase. Abbiamo degli esempi, durante il periodo lockdown di grande generosità. Mentre ci sono delle preoccupazioni per come si vivrà la auspicata ripresa. Vediamo in particolare Valentino e Armani come pensano per il futuro.
Grande generosità dai gruppi della moda:
- Per tutto il mese di aprile, il 10% delle vendite online dei marchi principali del gruppo OTB(Diesel, Maison Margiela, Marni) è stato devoluto alla Fondazione OTB e in particolare all’approvvigionamento e alla distribuzione di materiali di protezione per il personale medico e paramedico in prima linea nella lotta al virus, e di strumenti di supporto ai malati di centri e strutture ospedaliere minori;
- Il gruppo Armaniha donato 1 milione di euro per la Protezione Civile e gli ospedali Luigi Sacco, San Raffaele, Istituto dei Tumori di Milano e lo Spallanzani di Roma, e ha deciso di convertire tutti i propri stabilimenti italiani nella produzione di camici monouso;
- Gucci, dopo le donazioni della controllante Kering in Cina, Italia e Francia e l’annuncio della produzione di oltre 1 milione di maschere e camici per il personale sanitario in risposta all’appello della Regione Toscana, il marchio della doppia G ha donato 1 milione di euro al Dipartimento della Protezione Civile e a livello internazionale 1 milione di euro al Covid-19 Solidarity Response Fund della Fondazione delle Nazioni Unite a sostegno dell’Organizzazione Mondiale della Sanità attraverso la campagna di matchmaking di Facebook.;
- Prada, ha avviato la produzione di 80mila camici e 110mila mascherine da destinare al personale sanitario della Regione;
- Mario ed Enrico Moretti Polegato, rispettivamente presidenti di Geoxe di Diadora, hanno donato poi 1 milione di euro a beneficio della Regione Veneto per contribuire alla gestione dell’emergenza sanitaria;
- Uniqlo, brand globale di abbigliamento giapponese, ha donato 1 milione di mascherine al comune di Milano e 400 piumini ai volontari che prestano servizio nella città meneghina;
- Valentinoha comunicato tramite il gruppo Mayhoola la donazione di 1 milione di euro in favore delle unità di terapia intensiva del Sacco di Milano;
- Camera Nazionale della Moda Italiana, ha destinato 3 milioni di euro a “Italia, we are with you”, progetto di solidarietà creato dai membri dell’associazione e aperto a tutti i brand di moda italiani e non.
Era stato Giorgio Armani, che con la sua lettera aperta, aveva chiesto, alla moda, di ripartire dalle priorità, rallentando quei ritmi forsennati che il fashion system ha avuto in questi anni.
“Io non voglio più lavorare così, è immorale. È tempo di togliere il superfluo e ridefinire i tempi”. Così diceva qualche settimana fa “re” Giorgio Armani in una lettera aperta al mondo della moda in cui per primo accendeva i riflettori sulle criticità dell’attuale sistema fatte emergere dall’emergenza coronavirus, tracciando una road map per ripartire poi dalle priorità, rallentando quei ritmi forsennati che il fashion system ha avuto in questi anni. Detto fatto. Le sue parole hanno trovato ora un riscontro nell’annuncio del nuovo calendario delle sfilate donna, uomo e alta moda del Gruppo Armani.
La casa di moda milanese, infatti, ha appena comunicato che le collezioni Giorgio Armani ed Emporio Armani uomo e donna saranno presentate a settembre 2020 a Milano, secondo modalità ancora in via di definizione che verranno svelate prossimamente.
La sfilata Armani Privé, invece, sarà “posticipata a gennaio 2021 e si terrà nella storica sede di Palazzo Orsini in via Borgonuovo a Milano.
La collezione, che non avrà stagionalità, presenterà capi adatti all’inverno così come capi più leggeri per l’estate“.
Inoltre, a partire da giugno 2020, “Armani metterà a disposizione di tutte le clienti i servizi della sua sartoria: un ampio repertorio di modelli, attuali e delle precedenti collezioni, saranno proposti e rivisti in base ai tessuti scelti e alle modifiche richieste. Gli abiti saranno poi presentati su appuntamento, come già avviene nel corso dell’anno in atelier”.
E’ Valentino che presenterà la sua collezione in modo inusuale: sarà interpretata dagli amici (famosi) di Pierpaolo Piccioli e della maison, pronti a fotografarsi da soli in piena quarantena e a donare il loro cachet all’Ospedale Spallanzani di Roma.
Serena Tibaldi intervista Pierpaolo Piccioli (direttore creativo della maison romana) per DRepubblica:
Come è nata l’idea?
Avere dei limiti ti offre anche delle opportunità notevoli, migliori pure dell’avere campo libero. Fatte le dovute proporzioni – e ci mancherebbe altro! -, quello che sta succedendo ricorda un po’ la vicenda di Caravaggio: lui era pagato dalla Chiesa, perciò doveva lavorare su temi religiosi, ma conosceva solo prostitute e delinquenti. E allora che fa? Dà ai santi e ai martiri i volti dei derelitti che frequentava, donando loro un’umanità che mai avevano avuto. Anche noi ci troviamo a dover lavorare con ciò che abbiamo: le campagne pubblicitarie per esempio, in genere presuppongono location esotiche, fotografi, modelle e troupe di decine di persone fatti volare da tutto il mondo e così via. Tutte cose impossibili da avere ora, ma mi rifiuto di pensare che non ci siano alternative. Come stilista penso sia anche mio dovere reagire a ciò che sta accadendo, e non solo limitarmi a “rispecchiarlo”; quindi, al momento di ripensare la campagna pubblicitaria per il prossimo autunno-inverno, ho scelto di rimettere al centro di tutto le persone, senza fronzoli e sovrastrutture. Non sono un politico, la mia non è una critica alla società: penso solo che sia importante avere una reazione, e la mia la esprimo attraverso i miei mezzi: il mio immaginario, la moda e la sua comunicazione. E, per farlo, abbiamo coinvolto una truppa di amici – perché lo sono davvero, non si limitano a essere “testimonial” -, a cui abbiamo chiesto di fotografarsi dove stanno passando questo periodo, vestiti con i nostri abiti, così come sono in questo momento.
Come avete sviluppato il progetto?
Abbiamo creato un’immensa lavagna su cui, man mano che via WhatsApp mi arrivava il fatidico “sì” dei personaggi coinvolti, spuntavamo il loro nome e passavamo oltre: sembravamo dei broker finanziari presi dalla frenesia, devo dire che è stata un’esperienza galvanizzante rendersi conto di quanto ognuno fosse felice di partecipare. Naomi, Ghali, Gwyneth, Rossy De Palma, Rula Jebreal: non abbiamo scelto per fisico o età, ma per affinità di spirito, e credo che tutto questo si ritroverà nelle immagini. In più, tutti hanno rinunciato al loro cachet, mentre noi abbiamo donato un milione di euro all’Ospedale Spallanzani di Romaper sostenere la ricerca nella fase 2. Mayhoola (il gruppo del Qatar a cui il brand fa capo, ndr) aveva già fatto una donazione agli ospedali italiani, ma noi siamo una maison romana, ci tenevamo a sostenere la città.
Avete dato indicazioni su come fotografarsi?
L’idea è che si facciano ritrarre in un ambiente a loro caro da chi vuole loro bene, e che per forza di cose sia in autoisolamento con loro. Lo sguardo di chi ti conosce e ti ama è diverso, si percepisce a pelle. Lo vedo con le foto che mi ha fatto mia figlia Stella, sono un’altra cosa: per me sono le più fighe che mi siano mai state fatte perché il legame tra noi traspare, è palpabile. Stiamo anche pensando a una colonna sonora che faccia da collante.
In molti si stanno affannando a ipotizzare il futuro per la moda. Lei che ne pensa?
A costo di sembrare scontato, mi aspetto che tornerà a essere fondamentale la creatività. Una frase scontata, perché in teoria così dovrebbe essere, ma lo sappiamo tutti molto bene che ultimamente non è stato così, tra CEO diventati star e collezioni fatte con lo stampino. Quindi, ben venga tornare a parlare di certi valori, ma alle parole devono seguire i fatti. Anche perché penso che la gente vorrà abiti che li emozioni, che li faccia sognare, non che hanno già visto decine di volte. E siamo noi a doverglieli offrire.
La moda, fiore all’occhiello del Made in Italy, è al centro di una crisi globale. Con la pandemia il sistema produttivo si è fermato in tutto il mondo, ma l’Italia rischia di pagare un prezzo altissimo.
Il presidente della Camera della Moda Carlo Capasa aveva fatto i conti qualche giorno fa: «Siamo il primo Paese in Europa per la produzione del tessile, abbigliamento e accessori. Il 41 per cento della produzione europea di moda è fatto in Italia».
Come cambierà lo shopping nella fase due? I negozi si trasformeranno, almeno in parte, con ingressi contingentati, orari di apertura dilatati fino a tarda sera, ma anche abiti da igienizzare. «Il distanziamento sociale significa far entrare un cliente alla volta in un negozio di 40 metri quadri», spiega Borghi.
Poche persone, flussi ridotti al minimo. OVS, gigante dell’abbigliamento con 1200 negozi in 34 Paesi, ha store mediamente di mille metri quadri. «Potremo far entrare 60 o 70 persone – spiegano dall’azienda – tutte con obbligo di guanti e mascherine, che saranno indossati anche dai nostri dipendenti».
Meno tempo nei negozi, ma anche meno potere d’acquisto per i clienti in un periodo di crisi economica globale. «Probabilmente – riflette Marzotto – invece di tre camicie, tre magliette e tre paia di pantaloni, i clienti compreranno un capo per ogni articolo, ma di qualità». In Ovs hanno attivato una linea di credito per i clienti, che potranno comprare i vestiti a rate. Intanto nei negozi per bambini del marchio veneto, aperti da metà aprile, notano: «Chi entra fa acquisti mirati, compra capi più duraturi e lo scontrino medio è più alto».
Addio grandi magazzini affollati, passeggiate a tempo perso e accaparramento di decine di abiti, da provare in camerini affollati.«Serve una slow fashion – chiosa Borghi, presidente della Federazione Moda – bisogna lasciare maturare le stagioni e il prodotto senza far uscire linee ogni due mesi e senza drogare la domanda».
E qui si torna all’appello di Giorgio Armani: «La moda deve rallentare il suo ritmo insostenibile».