Leonardo Sciascia: il Poeta Mario dell’Arco è uno dei “quattro grandi della poesia romanesca”.
Le sue poesie (collabora con Pasolini per l’antologia Poesia dialettale del Novecento – 1952), raffinate e surreali, in dialetto (“il linguaggio si fa addirittura più leggero dell’italiano” afferma Gibellini), si collegano alla poesia ermetica e contemporanea, essenzialmente pessimiste e universali, senza disdegnare la poesia vernacolare (esordio nel 1946 con le raccolte: Taja ch’è rosso; La stella de carta, 1947; Ottave, 1948; Tormarancio, 1950; Una striscia de sole, 1951; La peste a Roma, 1952; Ponte dell’Angeli, 1955; Verde vivo verde morto, 1962; Roma levante Roma ponente, 1965; Gatti, 1980; Assolo, 1982; Vince er turchino, 1985; Poesie romanesche, 1987).
Ponte dell’Angeli
È cascato pe sbajo sopra ar Tevere.
A pollo a la spalletta
l’angeli de vedetta
e a l’imbocco san Pietro co’ la chiave,
5san Paolo co lo stocco.
Sotto ar sole, san Pietro corre er rischio
de scottasse la coccia
e un ber giorno se scoccia:
un soffio ne la chiave, e manna un fischio.
10Qui, san Paolo deciso
taja la corda all’ancora
e l’angeli ar segnale apreno l’ale
e riporteno er ponte in paradiso.
Ponte Sant’Angelo, costruito nel 134 dall’imperatore Adriano (Architetto Demetriano) per collegare alla riva sinistra il suo mausoleo, aveva tre arcate, con due rampe (distrutte nel 1893 in occasione della realizzazione degli argini del fiume). Nel 1535 papa Clemente VII fece collocare all’ingresso del ponte le statue di san Pietro e san Paolo, a cui furono successivamente aggiunte altre statue.
Nel 1669 papa Clemente IX fece realizzare un nuovo parapetto, disegnato dal Bernini (in sostituzione del parapetto ceduto durante il giubileo del 1450), sopra il quale furono collocate dieci statue raffiguranti Angeli, scolpite da allievi di Bernini, sotto la sua direzione (delle precedenti rimangono solo quelle di Pietro e Paolo).
La farfalla
Er vermine ha trovato
dù petali de rosa in un’aiola:
strisciava in mezzo ar prato, adesso vola.
Aprile
In celo hanno cambiato
La carta da parato
Prima c’era una carta scolorita
Co certe nuvolette bianche e lilla,
adesso è a tinta unita:
un turchino che strilla.
Tormarancio
di Mario dell’Arco
Anno 1950
Corre er filo spinato
intorno a Tormarancio. Co la lagna
de la cicala e er fiato
dell’erba, la campagna
batte ar filo spinato.
Gnente rame de pioppo
lustre de verde doppo er temporale;
nun cresce un gersomino
addosso ar muro; sopra ar davanzale
è secco er rosmarino.
Indove sta er facocchio
che cava for da un rocchio
de robbinia o da un masso de sarcione
mozzo e razzi e cerchione
e la rota trabballa ar primo passo!
Indove sta er bottaro
che gira e chiama l’ombre de la notte
co le bòtte de mazza su la botte!
Indove sta er cordaro
che sposta pe la strada più niscosta
uguale ar grancio, ar sole o ner pantano
e la corda je nasce da le mano
longa come la strada?
Regazzini mischiati
co li cani affamati, a quattro zampe
a fonno a la catasta
de la monnezza, stampeno
trentadu’ denti in una mela guasta.
‘Na donna fa un rinnaccio
a un lenzolo strappato
o stenne quarche straccio
sopra a la cordicella e un pupo in braccio
moscio, giallo, allupato.
A sede a lo scalino
co le mano incollate a li ginocchi
e una nuvola ferma drento all’occhi,
o a lo scuro che arza lo storino
e manna via la traccia
der sonno da la faccia,
o co le spalle ar muro
e la bocca serrata
su una cica smorzata:
un omo a fianco a un omo
e un deserto per omo.
Mejo che la campagna
spezzi er filo spinato e senza fiato
arrivi co le foje
a mette le carcagna su le soje
de le case. S’agguanta
coll’èllera a le mura,
allarga la fessura,
sconocchia er tetto, spacca la cimasa
e la casa se schianta.
Sopra, la cappa vota
der celo e un farco l’empie co la rota

Tor Marancia nacque verso la fine degli anni ’20, su una zona prevalentemente paludosa. Alla popolazione cacciata nel ’25 dal centro di Roma si aggiunsero molti immigrati, provenienti dal sud Italia, facendo nascere una “baraccopoli” malsana fatta di casette in muratura e legname, con continue inondazioni. Nel 1948, fu rasa al suolo, utilizzando la Legge De Gasperi sul risanamento delle borgate e sostituita dalle attuali case popolari.
Il poeta (Mario dell’Arco), si era interessato alla musica antecedentemente al 1945, scrivendo molte canzoni, tra le quali la più famosa è stata “ Pupo biondo”.
L’Architetto Mario Fagiolo, si laurea nel 1929, presso la Regia Scuola di Architettura di Roma, fa parte, fino al 1932 (anno del progetto delle Poste di piazza Bologna), dello studio Ridolfi-Fagiolo, nel quale collaborerà per un periodo Adalberto Libera. Tra i suoi progetti più famosi, in collaborazione all’interno dello studio, è il progetto delle poste di Piazza Bologna. Le Poste, di Piazza Bologna (1933-35), con la doppia curvatura, sono considerate un capolavoro dell’Architettura Razionalista Italiana.

Mario dell’Arco (Roma 1905-1995) Mario fagiolo: due vite parallele.
“L’architettura di Mario Fagiolo è fatta di pensiero e di poesia immaginifica cosí come la poesia di Mario dell’Arco appare strutturata architettonicamente”. Nel 2005, presso la fondazione Marco Besso, è stata organizzata una Mostra-Convegno, con catalogo: Roma di Mario dell’Arco (Mario Fagiolo) poesia & architettura.
Link e foto
- www.fondazionemarcobesso.it
- dati.san.beniculturali.it
- www.treccani.it
- poetarumsilva.com
- www.archidiap.com
- www.bnnonline.it
- www.amazon.it
- dialettoderoma.iobloggo.com
- www.turismoroma.it
- www.meetart.it
- www.archidiap.com
- siusa.archivi.beniculturali.it