Un importante spazio si taglia lungo il panorama dell’antico palazzo degli imperatori, in via dei Cerchi n. 87, si tratta di un prospetto affascinante, quasi magico. Tra i pieni e i vuoti, la facciata iconica, quasi una scenografia, che incornicia i gigli farnesiani, con sopra quella mano di gesso: “la mano di Cicerone”. Fin da ragazzo ero rimasto affascinato da quella facciata, complice il libro Roma barocca di Paolo Portoghesi. Tra una lettura e le foto c’era sempre il mistero che derivava da quel palazzo.
CHIESA SANT’ANASTASIA
Era il lontano 325 quando si edificò la più antica chiesa di Roma: la basilica di Sant’Anastasia, il luogo di culto ufficiale della corte imperiale. Sorse su preesistenti architetture adiacente alla recinzione esterna del Circo Massimo; diversi studiosi hanno identificato con il vestibolo del Lupercale (la grotta dove si riteneva che Romolo e Remo fossero stati allattati dalla lupa). Altri hanno attribuito parte dei resti sottostanti alla Basilica alla casa di un certo Publio. Tale era anche il nome del marito di Anastasia, nata a Roma nel 281, battezzata segretamente dalla madre Fausta ed educata alla fede da San Crisogono; dopo molte traversie fu imprigionata e crocifissa, il 25 dicembre del 304, sotto la persecuzione di Diocleziano.
La chiesa moderna deve le sue forme a papa Urbano VIII Barberini, che ne ordinò il restauro nel 1636. Il Baglione l’attribuisce all’architetto Luigi Arrigucci il suo progetto (erroneamente attribuita al Bernini da un’incisione). Stilisticamente va dalla facciata di Della Porta, a due campanili, all’esperienza maderniana di Santa Susanna, con lo schema ad ordini sovrapposti di eguale ampiezza e con ali laterali molto sviluppate in larghezza.
“Piu organica senza dubbio, ma fredda ed enfatica, è la navata di s. Anastasia, rinnovata dal Gimach nel 1721, riallacciandosi per qualche aspetto al restauro di san Clemente, ma abolendo le archeggiature orignarie e ponendo le colonne, come elementi decorativi, appoggiate davanti alle grandi pareti pilastrate erette a racchiudere lo spazio della navata centrale.” Paolo Portoghesi.
STORIA DEL CASALE
All’interno del Casale, di via dei Cerchi n. 87, c’è una via con delle costruzioni diventate un albergo, di un importante logo romano; sembrano quasi due spazi diversificati, la chiesa e il convento e invece è un unicum. Il Casale ha un carattere vagamente spagnolo o coloniale, un aspetto che ha anche il cortile di S. Gregorio al Celio.
I Padri Olivetani, appartenenti all’Ordine di San Benedetto, prendono il nome dal monte Oliveto, in provincia di Siena. L’ “Ordo S. Benedicti Montis Oliveti” fu istituito nel 1313. La struttura originaria dell’edificio è costituita da un casale, che originariamente faceva parte degli “Orti Farnesiani” (giardini voluti da Alessandro Farnese, nipote di papa Paolo III, e realizzati da Alessandro Algardi), che si estendevano alle falde del Palatino.
La storia degli Horti inizia intorno alla metà del Cinquecento, quando il cardinale Alessandro Farnese acquista una serie di piccoli appezzamenti di terreno posti fra le falde del Palatino sul Foro e la sommità della collina, fino al versante opposto sul Circo Massimo. Per due secoli gli Horti continuano a essere una proprietà della famiglia Farnese che, tra lavori di rimodernamento e modifiche strutturali, nel 1718 trasformano il giardino in “Reale Azienda Agricola”.
L’odierna facciata, arcuata e costituita da un continuo gioco di finestre di varia forma, vere o finte, da un gioco di pieni e di vuoti oltre che dal portale, incorniciato a stucco (come le finestre), con i gigli, simbolo dei Farnese. La “mano”, cui abbiamo appena accennato, e che appare stilizzata anche su una finestra di destra, sormonta un curioso cornicione ad oculi cavi e caratterizza il coronamento arcuato della facciata: dal popolo romano era chiamata “la mano di Cicerone”, forse in riferimento all’indice puntato, tipico di un’arringa oratoria. Si tratta di un calco in gesso di un ex voto conservato in una cappella, demolita nel 1939 per l’allargamento della strada, che sorgeva nei pressi e che era detta di “Santa Maria de Manu”.
IL MUSEO DELLA CUCINA
Il palazzo ospita la Biblioteca ed il Museo della Cucina, ancora poco noto, contenente le collezioni private tra le più importanti oggi presenti in Italia, di proprietà Rossano Boscolo.
Il Museo, colleziona le lavorazioni di Alta cucina, sono esposti pezzi che vanno dagli stampi barocchi per il gelato di primo Seicento alle cucine a gas degli anni Cinquanta del secolo scorso. Non mancano inoltre vere e proprie chicche come il primo gioco di cucina per bambini, prodotto a Ravensburg nel 1898.
Il piano superiore é destinato alla biblioteca, dove c’è un percorso didattico guidato della grande Storia della cucina, con curiosità, notizie “gustose”, ricette e parole tratte dalle stesse e innumerevoli rarità bibliografiche esposte. Il sito è in lavorazione, ma presto sarà disponibile on-line l’intera collezione museale, nel frattempo è sempre attivo il blog e il loro account Instagram.