Una fila che viene articolata con nastri e con segni X, per evitare la prossimità delle persone. In poco tempo, sia privati che le amministrazioni cittadine si sono impegnati a disegnare le distanze: divieti, incolonnamenti, pareti (regolarizzando una nuova via per i cittadini).
Rosario Spagnolello riprende un’intervista del graphic designer statunitense Wayne Hunt, che sulla piattaforma online Quartz scrive:
“Tutti stanno affrontando il problema con un linguaggio grafico proprio. Le persone rispondono alle questioni in modo intuitivo. Magari i designer professionisti sanno trovare uno stile e una forma compiuti, ma è difficile superare ad esempio quello che farebbe il direttore di un negozio. Sono un grande fan del vernacolare.” (…) “dobbiamo considerare anche le implicazioni sociali di tale movimento. Il design basato sulla distanza sociale può rimanere umano ed empatico? E come possono i designer aiutare a mantenere la distanza fisica tra le persone, stimolando al tempo stesso altre forme di vicinanza?”
Nastri adesivi, segni di gesso, cartelli, adesivi per pavimenti, mobili e altri strumenti ingegnosi costituiscono un nuovo layer urbano che si sovrappone alla città costruita, le cui trasformazioni hanno tempi molto più lenti.
Alcune pagine Instagram stanno documentando queste azioni che avvengono parallelamente in tutto il mondo ( per esempio @Tape_Measures). Nella speranza di tornare presto alle nostre normali densità, dobbiamo continuare affinare quella che potrebbe diventate una nuova disciplina, quella che Shay Raviv chiama Design for Distance.
La nuova educazione civica la raccontano Tom & Jerry nel poster di Mauro Pallotta, in arte Maupal, spuntato a Borgo Pio, quartiere di casa allo street artist. L’opera dal titolo “Un metro”, mostra il gatto e topo più famosi del mondo con mascherina indosso, mentre Jerry intima Tom a mantenere le distanze. Per l’artista, oltre all’omaggio a Gene Deitch, il regista del celebre cartoon scomparso il 19 aprile, c’è anche un messaggio in più.
“L’abitudine di indossare le mascherine e la distanza fisica – spiega Maupal – diventerà sinonimo di rispetto verso se stessi e gli altri, ma col passare del tempo includerà una nuova forma a livello mentale e umano. La distanza la possiamo leggere come una grande opportunità, abbiamo l’occasione di osservare chi ci sta di fronte con più attenzione e di conseguenza, rivederci in lui. E forse sarà molto più complicato per il più forte sormontare il più debole, in ogni senso e in ogni circostanza”.
Una signora crea cordone di sicurezza sul marciapiede di casa per godersi il sole e leggere un libro (senza eludere la quarentena). Così, una residente in Uruguay ha piazzato una sedia davanti casa sua “recintando” l’area con un nastro e tanto di scritta “NON PASSARE. PERICOLO” per avvertire i passanti.
“In Italia il 4 maggio era atteso come l’inizio della cosiddetta “fase 2” del lockdown. Così Domus ha ricordato la quarantena (…) Intanto, ho provato a fare un elenco delle cose che ricorderemo e di quelle che sarà meglio non dimenticare di questi giorni terribili e incredibili insieme. Non è una cosa che si fa da solo. Ho chiesto a un po’ di amici e di colleghi di aiutarmi.
1. Le strisce di nastro adesivo fuori e dentro i negozi a segnare la distanza “accettabile” tra le persone;
2. Il concerto di Travis Scott su Fortnite;
3. La foto della manifestazione “socialmente distanziata” in Israele.”
I cinema a Torino ai tempi del Coronavirus: posti sbarrati con il nastro adesivo per evitare il contagio. Sono il segno dei tempi. Ma anche i Drive In, che stanno rinascendo in Italia: per vedere il cinema con adeguata distanza.
“Io – continua Martina – vivo a Casal Palocco e qui a pochi metri di distanza da casa mia posso vantare di avere non solo il primo cinema Drive-in aperto in Europa, il 29 agosto del 1957, ma anche il più grande! In questo momento vogliono cominciare i lavori per costruirci al suo posto un centro commerciale, ignorando il grande potenziale di quello che è presente attualmente. La riapertura di questo posto gioverebbe molto alla fama del nostro quartiere e in questo delicato periodo porterebbe molti più incassi di quanto non lo farebbe un centro commerciale”.
Andremo al mare; ma come ? Questa volta la soluzione sembra più a misura d’uomo e a fornirla è stato il team di professionisti dello studio Obicua Architettura che, insieme all’architetto greco Sofia Tsagadopoulou, hanno messo su carta un progetto basato su un materiale naturale, il bamboo.
La squadra, composta da Lucia Catenacci, Valerio Campi e Massimiliano Brugia, ha progettato delle cupole 5 metri x 5, semi private ossia in grado di ospitare una famiglia.
L’architetto V. Campi per “il Tempo”:
“L’idea di base nasce dal concetto di rispetto delle distanze di sicurezza ma cercando di mantenere quel senso di libertà che i bagnanti ricercano in una giornata da passare in spiaggia. Vedendo quelle gabbie in plexiglass, ci è venuto in mente di creare una struttura più friendly. Come se fosse una tenda da campeggio più strutturata. Abbiamo pensato per la zona protetta ad una forma semplice a cupola, che si assembla facilmente con moduli triangolari ed è per sua stessa forma autoportante. I materiali utilizzati sono bamboo e alluminio. Per la copertura, poi, tessuti leggeri, resistenti e facilmente trasportabili il che permette la variazione della forma da sistemare sull’arenile come meglio si crede. Inoltre, posizionando le cupole in obliquo si potrà vedere il mare, creando così corridoi ed evitando anche gli assembramenti”.
E adesso che stiamo al 4 maggio? Lo shock è stato molto forte, bisognerà continuare prima di tutto a salvare le vite, poi al lavoro passando per i trasporti. Ecco dai trasporti qualcosa si sta muovendo; a Parigi, Milano e Roma si stanno modificando la strade per un nuovo passaggio delle bici e i monopattini elettrici.
“L’architettura moderna ha più che altro a che fare con la difesa della salute”, sostiene l’architetta spagnola Beatriz Colomina. Il rapporto tra la malattia e i progressi nella progettazione delle città è andato storicamente di pari passo. All’inizio del XX secolo gli architetti hanno preso più idee da medici e infermieri che dalla teoria architettonica, in particolare per la progettazione di sanatori per la tubercolosi.
Nel suo libro X-Ray Architecture, Colomina esamina come l’ossessione per la tubercolosi abbia causato cambiamenti nel modo di costruire e di vivere in spazi più igienici, che evitavano la concentrazione di polvere e pareti bianche. “La malattia è ciò che ha modernizzato l’architettura, non solo i nuovi materiali e le nuove tecnologie”, spiega in un’intervista alla rivista di architettura Pin-Up. “Perché? Perché una persona su sette è morta di tubercolosi nel mondo, ma in una grande metropoli come Parigi si è arrivati a una su tre”.
“La paura di tutti noi che pensiamo e lavoriamo nella pianificazione urbana è che le città post-pandemiche puntino ancora una volta sul veicolo privato”, scrive l’urbanista José Manuel Guzmán nella piattaforma specializzata Transecto.
Per Lahoz una delle principali conseguenze a breve termine sarà inevitabilmente un maggior ricorso al trasporto privato e l’avversione per il trasporto pubblico, anche non crede che questo comporterà necessariamente un aumento dell’uso dell’auto. “La bicicletta è l’alternativa più economica ed efficace, e per rendere disponibili le piste ciclabili non è necessario cambiare la morfologia delle città”.
Lahoz prevede che in città come Madrid, dove c’è stato un boom delle bici, questo mezzo si consoliderà. Milano ha annunciato che tra i piani per fronteggiare il coronavirus c’è la progressiva realizzazione di 35 nuovi chilometri di piste ciclabili tra maggio e settembre. Anche le città francesi scommettono sulle biciclette. Il governo francese ha stanziato 20 milioni di euro per promuovere l’uso di questo mezzo a Parigi, Lione, Lille e Montpellier.
Un maggior ricorso al telelavoro e la riscoperta del proprio quartiere di residenza potrebbero essere tra gli effetti a lungo termine della pandemia. Il fatto che più persone lavorino da casa porterà cambiamenti negli uffici, in quanto dovranno ospitare meno posti di lavoro. Lahoz non ha dubbi che le città usciranno più forti dalla pandemia. Nel 1945, Francoforte scomparve sotto i bombardamenti della seconda guerra mondiale: rimaneva solo una stazione ferroviaria dove la gente si rifugiava, ma fu ricostruita. Come le guerre, spiega, le epidemie sono uno shock e in molti casi è necessario che le città si adattino per migliorare la vita delle persone. “La città – conclude Lahoz – è un sogno che diventa realtà, la più grande opera dell’uomo”.