MUSEO PER L’IMMAGINAZIONE PREVENTIVA
IL MUSEO RIAPRE IL 17 LUGLIO – MACRO – Ingresso Gratuito
Il Macro entra in epoca Luca Lo Pinto, che succede a Giorgio De Finis nella conduzione del Museo romano. Nato a Roma, 38 anni, Lo Pinto ha lavorato fino alla nomina capitolina come curatore della Kunsthalle Wien (qui era in carica dal 2014), organizzando mostre di Liam Gillick, Pierre Bismuth, Charlemagne Palestine, tra gli altri. Co-fondatore di Nero, la casa editrice nata nel 2004, Lo Pinto è stato scelto alla guida del Macro attraverso un bando a evidenza pubblica, lanciato nell’estate 2019, con la proposta di un incarico triennale fino al 2022 (qui i criteri del bando).
Santa Nastro intervista Luca Lo Pinto per Artribune
Il tuo progetto rende omaggio all’Ufficio per l’Immaginazione Preventiva istituito a Roma nel 1973 da Carlo Maurizio Benveduti, Tullio Catalano e Franco Falasca con l’obbiettivo di produrre un’arte capace di agire sulla società. Su quali aspetti della società vorresti intervenire?
Il riferimento al progetto di Benveduti, Catalano e Falasca nasce dalla volontà di mettere l’immaginazione al centro del dispositivo museale. In un momento storico dove lo storytelling dell’arte è principalmente legato al mercato e al valore delle opere, la sfida è di lavorare più con le idee che con i soldi, visto che le risorse di cui dispongo sono limitate. Mi piaceva rendere omaggio nel titolo a un progetto che considerava l’immaginazione come motore propulsivo aldilà di una esplicita dimensione politica figlia di quel periodo storico.
Il Museo oggi
Il progetto è elaborato immaginando il museo come un magazine tridimensionale sviluppato in rubriche che accoglieranno contenuti eterogenei. Le varie rubriche (Solo/Multi; Polifonia; Aritmici; In-Design; Studio Bibliografico; Musica da camera; Palestra; Retrofuture. Appunti per una collezione; Agorà) sono ideate per dare vita a un’esperienza del museo insieme frammentata e totalizzante. Un centro culturale polifonico dove tradurre una struttura editoriale in una forma vivente. Ogni visitatore avrà la possibilità di navigare in modo fluido e al tempo stesso avrà il compito di trovare i nessi tra i diversi elementi, focalizzando l’attenzione sugli scarti tra le discipline.
Ingresso
L’ingresso al MACRO, situato all’angolo fra via Nizza e via Cagliari, si apre in una facciata di alte vetrate che si stagliano tra i palazzi di fine Ottocento. Superando l’ingresso si accede allo spazio museale precedentemente celato, che comprende: sale espositive, spazi-eventi, book-shop, sale didattiche, auditorium e sala di lettura, coprendo una superficie di 10.000 mq. Le sale espositive, a causa della loro natura e dei flussi che continuamente le attraversano, si configurano ontologicamente come una serie di spazi in movimento, svelando uno scenario dinamico e articolato.
Storia
1902: Birreria in legno e galleria in cemento armato annessa alla birreria, in piazza Principe di Napoli (attuale piazza Alessandria).
L’ex stabilimento della Birra Peroni rappresenta una rara, per Roma, testimonianza di Archeologia industriale. Il suo Archivio Storico nel 1996 è stato dichiarato di notevole interesse dalla Soprintendenza Archivistica per il Lazio e nel 2001 è stato pubblicato l’inventario di beni.
Il complesso originario degli stabilimenti fuori dalle Mura Aureliane, in prossimità di Porta Pia, viene progettato in un arco di tempo compreso tra il 1901 e il 1922, a completamento di un lungo processo di insediamento del birrificio nella città, che aveva visto la successione (dal 1864) di varie localizzazioni, in particolare dei locali per la mescita in aree storiche, nel tempo inadatte al salto verso quella che si sarebbe rivelata un’importante produzione industriale. Fino ad occupare la sede definitiva nelle aree strategiche della nuova città Capitale del Regno, in prossimità della stazione ferroviaria Centrale (Termini) e comprese tra la via Salaria e la via Nomentana oltrepassata Porta Pia, luogo simbolo del Risorgimento, dell’annessione di Roma all’Italia e della raggiunta unificazione. Autore dell’opera, svolta nel corso di circa tredici anni, è Gustavo Giovannoni. Ad Alfredo Panopoli sono attribuite le scuderie dell’ultimo lotto (via Cagliari) realizzate tra il 1920 e il 1922.
Santa Nastro intervista Luca Lo Pinto per Artribune
In maniera differente, ma c’è una linea comune che attraversa la direzione di De Finis e arriva alla tua proposta. Che opinione hai dell’esperienza precedente del Macro Asilo? Cosa ti senti di salvare e cosa di criticare?
Sono due progetti che partono dalla stessa domanda ovvero quella di ripensare che cosa sia oggi il museo. Credo che Macro Asilo lo abbia fatto ponendosi in antitesi, contro il sistema dell’arte predominante. Museo per l’Immaginazione Preventiva non si pone contro il museo, al di fuori di esso, ma vuole provare a ripensarlo da dentro.
Non avendo vissuto a Roma negli ultimi sei anni, non ho avuto modo di seguire da vicino l’esperienza del Macro Asilo tuttavia l’idea di una macchina discorsiva incessante con un palinsesto quotidiano di incontri è molto interessante.
In che modo?
Personalmente l’aspetto che ritengo più critico è quello di scelte artistiche ed espositive che hanno sacrificato l’idea di selezione e di rigore. Non condivido poi il fatto di trasformare gli spazi in atelier che assomigliano a delle gabbie trasparenti e rischiano di riportare all’idea dell’artista come un oggetto esotico da osservare come un pesce in un acquario. In generale la concezione di un museo alternativo alla cultura ufficiale dove tutti possono esporre è stata portata avanti in modo ancora più radicale da diversi artisti. Un esempio su tutti è la celebre mostra The People’s Choice di Group Material che invitarono gli abitanti di un quartiere di New York a esporre dei loro oggetti personali. In generale mi colpisce come in Italia tutto si esaurisca in uno scontro tra posizioni predeterminate senza la curiosità e la voglia di confrontarsi se non in una forma conflittuale invece di dar vita a un dibattito costruttivo e intellettualmente onesto.
Storia
La prima sede del MACRO nasce dalla riconversione e dal restauro di un edificio industriale. La fase iniziale di riconversione è stata completata nel 1999. Successivamente, è partito il progetto del Nuovo MACRO, ideato dall’architetto Odile Decq che , come lei stessa afferma, ricerca un equilibrio dinamico attraverso la creazione di differenti punti di vista, ampliando le prospettive ridefinendo totalmente la percezione del Museo. Le aree interne ed esterne non sono state effettivamente concepite in modo rigido ma fluido, con ambienti flessibili e contaminati che assecondano la curiosità, predisponendo il visitatore ad una continua scoperta. Secondo il pensiero di Odile Decq il lavoro dell’architetto spesso deve essere in grado di mostrare il non visibile, nel MACRO questa provocazione latente emerge dalla traslazione e dallo slittamento delle superfici orizzontali e verticali, dal rapporto biunivoco tra interno ed esterno.
Due saranno i momenti chiave di questo primo anno di direzione. Cosa accadrà in questi due differenti momenti?
(…) A un mese dall’insediamento presentiamo un progetto per il 2020, anzi per tre anni, poiché, rispetto a quanto avviene solitamente, qui la cornice è significante quanto il contenuto. (…), aderendo all’idea del museo come rivista, la mostra inaugurale sarà concepita come un “editoriale” che abbraccerà l’intero museo – compresi gli spazi “interstiziali” e non funzionali – attivandolo con una serie di opere volte a offrire una riflessione sul ruolo e sull’identità dell’istituzione museale su un piano concettuale e architettonico, nonché ad anticipare ed evocare i linguaggi, gli immaginari e le posizioni artistiche che animeranno il futuro programma. Il 3 ottobre è la data dell’uscita del Museo per l’Immaginazione Preventiva in tutta la sua struttura “editoriale”.
Storia
Il modello trae origine dalle capanne/chalet a metà strada tra il padiglione “cinese” da giardino e il rifugio solitario che all’inizio del Novecento incontrava il gusto moderno dell’epoca e la vicina Villa Torlonia ne vedrà realizzati diversi esempi all’interno del parco. Il complesso industriale, insieme ad altri nuovi luoghi della produzione e del consumo, come i caffè e i grandi magazzini o le grandi strutture dei mercati, definisce il farsi della città moderna e laica attraverso la ricerca di un nuovo linguaggio figurativo, reso possibile dalla duttilità e dalle sperimentazioni dei nuovi materiali da costruzione (ferro e cemento armato) sia dalla mancanza, di fatto, di riferimenti tipologici e stilistici, ciò che permette una maggiore libertà nella composizione di volumi e forme e “azzardi” costruttivi (per esempio le finestre si allargano e assumono forme complesse) o l’alleggerimento, attraverso la decorazione (motivi floreali e geometrici come il poligono stellato ricorrente) e il colore, di partiti compositivi ancora classicheggianti come nel caso della scelta di Gustavo Giovannoni per il prospetto a lesene raccordate da finti archi ribassati su via Bergamo.
La collezione, argomento estremamente dibattuto nell’ambito del Macro Asilo di De Finis, torna qui ad essere oggetto di discussione. Come risolverai questo annoso problema?
Il MACRO ha in collezione 1200 opere. La prima domanda che mi sono posto è stata come sia stata creata, la seconda come affrontare il fatto che, eccetto il primo anno di apertura, non sia mai stata realmente accessibile. La intravedi dalla vetrata all’ingresso dell’ala vecchia, sei consapevole che esiste ma non puoi accedere negli spazi dove era pensata per essere fruita. Questa “bipolarità” mi ha fatto riflettere in generale sullo status delle collezioni pubbliche. Gran parte dei lavori sono chiusi in magazzini non accessibili al pubblico e, nonostante le varie rotazioni, la fruizione che ne abbiamo è principalmente mediata sotto forma di immagini. Oggi fruiamo le mostre sugli schermi, le opere sono vendute sui tablets, i musei digitalizzano i loro archivi: viviamo nel museo immaginario pensato da André Malraux. A partire da queste osservazioni, ho commissionato a Giovanna Silva di fotografare le opere della collezione del MACRO e dei depositi chiusi al pubblico in cui sono collocate. Le fotografie saranno esposte sotto forma di un gigantesco wallpaper che fungerà da display per le opere di una collezione in progress dedicata ad artisti italiani delle nuove generazioni che sarà costantemente “aggiornata” con l’aggiunta di nuovi lavori e interventi.
Art Cafè
L’Art Cafè è modellato considerando il solaio a quota 0,00 ed i solai di copertura quali diaframmi rigidi nel proprio piano, direttamente vincolati ai muri placcati lungo Via Nizza e lungo Via Cagliari oltre che ai setti in c.a. interni. Trattandosi di struttura sospesa e a sbalzo è stata considerata l’influenza dell’azione sismica verticale, i cui effetti sono stati verificati con il modello FEM di cui all’immagine seguente.
Starai pensando al tuo staff. Chi ti porti a bordo? Chi ti darà una mano in questo compito complicato?
Ho voglia di creare un gruppo di lavoro giovane, veloce, professionale, con l’energia e la curiosità necessarie per imbarcarsi in un’impresa fitzcarraldiana. Mi piace pensarlo come un team editoriale che funziona per vasi comunicanti e in una forma più orizzontale rispetto a quanto accade solitamente nei musei. (…)
L’architettura di Odile Decq offrirà l’occasione per destrutturare il progetto in “rubriche” come le definisci tu. In questa dimensione come credi sarà il Macro del futuro, un Museo o uno spazio per l’arte? Hai spezzettato la programmazione perché ci credevi davvero al 100% o magari anche per rispondere ad uno spazio difficilissimo?
L’idea del museo come magazine mi è venuta in mente in risposta alla specificità della architettura del MACRO (un corpo bicefalo articolato in 10.000 metri quadri), alla gratuità e soprattutto per rispondere alla domanda: come posso ripensare un museo oggi?
Il MACRO ha una storia travagliata di vent’anni, ne sono passati dieci da quando è stata inaugurata l’ala nuova. Non credo sia una coincidenza il fatto che nel 2020 mi sia concessa l’idea di presentare un progetto così sperimentale nel formato. Avere tre anni a disposizione può apparire come un limite ma dipende sempre dai punti di vista. Se lo si pensa come un museo in senso classico è pochissimo, se lo pensiamo come una mostra ha una durata inusuale. Il museo per come l’abbiamo considerato fino a oggi è una festa in smoking, io preferisco immaginarlo metaforicamente come un club dove andare a ballare. Ovviamente ciò che alla fine conta non è solo la cornice ma quello che produci dentro e come lo produci.
Cosa ti piace di più e cosa ti spaventa di più di Roma?
È una città con un grande potenziale dove la sottocultura da sempre è più vivace e immaginativa del panorama istituzionale. È una città viscerale, emotiva che ti può amare follemente e dimenticare il giorno dopo. Al tempo stesso soffre di un certo provincialismo e qualunquismo molto italiano. La sfida più grande è che questo programma di contenuti così articolato e complesso – una mostra di mostre, in fondo – possa intercettare un pubblico il più possibile diverso, soprattutto chi in un museo non ci ha mai messo piede o non si è mai sentito realmente spinto a visitarlo.