4 luglio 2022 – di Roberto Luciani

La città di Anzio, posta sul litorale laziale a sud di Roma, possiede una storia antichissima che affonda nel mito le sue radici. Abitata prima dai Latini, poi dai Volsci, divenne colonia romana nel 338 a.C. dopo la “battaglia latina”. Con l’età imperiale raggiunge il suo massimo splendore, del quale, tra l’altro, sono testimonianza i resti del Palazzo Imperiale, c.d. “Villa di Nerone”, dal nome dell’imperatore nato il 15 dicembre del 37 d.C. proprio ad Anzio. Tuttavia già il 31 agosto del 12 d.C. era nato ad Anzio Caligola, che divenne imperatore a 24 anni nel 37. Lucio Domizio Enobardo, poi Nerone, fu il più giovane imperatore che Roma aveva avuto fino a quel momento, divenendo imperatore a soli 17 anni.
Entrambi i principi hanno reso la città di Antium incomparabile ed entrambi hanno avuto un destino analogo che li vede accumunati nel mito di imperatori crudeli anche se inizialmente avviano il loro governo con l’intendimento di onorare le antiche prerogative del Senato romano. A Nerone vengono accreditati i primi cinque anni di buon governo (il “quinquennio felice”), mentre a Caligola il primo anno del suo breve regno.
Ossessionati dalla bellezza e dall’arte, Caligola aveva la passione per la danza e Nerone per le competizioni canore, teatrali e poetiche. Ambedue lasciarono domus splendide ed eccessive, raccolte statuarie, decorazioni parietali e arredamenti con marmi preziosi che incisero profondamente sulla diffusione del bello nella civiltà romana e sugli sviluppi della vita a Roma e Anzio.
La figura e il ruolo dei due imperatori è stato divulgato dagli storici antichi Svetonio e Tacito e da altri successivamente che hanno definito Caligola folle e Nerone crudele. Questa interpretazione tradizionale si è andata radicalizzando oltre che nella letteratura, anche nelle arti figurative e, più recentemente, nel cinema.
In realtà, i tre anni pur controversi del principato di Caligola si contraddistinsero anche per le varie elargizioni al popolo, per la riduzione della pressione fiscale e per il costante conflitto con il Senato che, di fatto, lo portò alla morte insieme alla sua famiglia.

A Roma Nerone ha lasciato la stupefacente Domus Aurea mentre ad Anzio l’antico Porto, raro esempio di ingegneria marittima e l’ampliamento della sontuosa Villa presso la quale amava soggiornare.
Così come sostenuto da storici contemporanei di chiara fama, primo tra tutti Clemente Marigliani, nel luglio del 64 quando Roma bruciava per cause accidentali, l’imperatore si trovava nel Palazzo Imperiale di Anzio per poi affrettarsi a tornare a Roma per soccorrere i feriti, predisporre in prima persona gli aiuti con i rifugi allestiti nei giardini della sua domus romana, per assistere i senzatetto, e per progettare la ricostruzione di Roma, secondo criteri edilizi e urbanistici più razionali e sicuri, con vasti spazi aperti, ampie strade, estesi porticati a protezione di templi ed edifici, pubbliche fontane.

Il Palazzo Imperiale
L’area del Palazzo Imperiale di Anzio si stende prospiciente il mare per circa 800 metri, tra il Capo d’Anzio, dove si trova il moderno faro, e il cosiddetto Arco Muto.
Quest’area, secondo studi archeologici dei resti e del territorio, era già occupata ed edificata tra l’VIII e il IV secolo a.C. Ciò è ravvisabile grazie alla presenza di blocchi di tufo risalenti all’età dei Volsci.

Studiosi moderni ripercorrendo la vita della Villa imperiale anziate propongono diverse fasi di realizzazione e modifica. Infatti il complesso subì numerose modifiche nel tempo in base ai gusti e alle volontà degli imperatori che di volta in volta abitarono la Villa o semplicemente erano al potere a Roma.
E’ tuttavia la fase definita “neroniana” che spicca per monumentalità e grandiosità, degna di un imperatore che amava essere considerato alla pari di un dio.
Dietro il promontorio di Capo d’Anzio venne costruita una darsena da diporto e di servizio per le piccole imbarcazioni imperiali; si realizzò in questa fase anche un acquedotto con cisterne rinvenuto più a nord dell’Arco Muto; verso l’interno, invece, la villa si articolava in ninfei, padiglioni, giardini con fontane, terrazzi, mentre nei vasti locali al chiuso si tenevano anche spettacoli d’intrattenimento per l’imperatore e la sua corte.

Nella fase successiva l’imperatore Domiziano non fu da meno del suo predecessore e proseguì con l’ampliamento verso ovest della Villa. Il modulo architettonico torna ad essere quello rettilineo del primitivo impianto. A lui sono da attribuirsi in particolar modo tre ambienti di grande importanza: la biblioteca, le terme e il teatro. Tutti e tre erano luoghi dedicati allo svago e alla cultura dei residenti e degli ospiti del Palazzo.
La biblioteca aveva una forma semicircolare e si articolava su due piani, mediante un’articolata struttura di scalinate essa si collegava sia alla strada sottostante che alla parte alta della rupe.
Al suo interno la biblioteca era formata da una grande sala con nicchie laterali rettangolari per contenere libri e codici, e concave per contenere delle statue (in una di questo, probabilmente, era collocata La fanciulla di Anzio). Adiacente questa sala principale si trovava una seconda sala ampia la metà della prima. La decorazione architettonica di questi ambienti era integrata magistralmente con quella pittorica: giardini fioriti animati da fontane, uccelli e folta vegetazione. Parte di queste pitture parietali sono oggi conservare al Museo Civico Archeologico di Anzio.

Il volume L’arredo Scultore delle ville di Antium

In tutte le fasi il Palazzo Imperiale era arricchito da uno straordinario arredo scultore, con la caduta dell’Impero romano Anzio decade progressivamente e la villa con le sue sculture abbandonate fino al XVII secolo, quando alti prelati della corte papale scelgono questo luogo per villeggiare, cacciare e soprattutto effettuare scavi archeologici che gli consentirono di arricchire le proprie collezioni d’arte.
Nel tempo questo immenso patrimonio archeologico anziate è andato “disperso” nei principali musei italiani ed europei (Musei Vaticani, Museo Nazionale Romano, Museo del Louvre, Museo dell’Ermitage, Gliptoteca di Monaco di Baviera, Ny Carlsberg Glyptotek di Copenhagen, ecc) e nessuno studioso aveva mai tentato un’archiviazione e uno studio complessivo.
E’ riuscita nell’intento l’archeologa Giuseppina Alessandra Cellini che ha pubblicato il grande volume (sia nei contenuti che nel formato) L’arredo Scultore delle ville di Antium. Catalogo delle sculture, documenti di archivio e proposte per un museo virtuale.
Il libro è stato stampato dalle Edizioni Tored nella Collana Archaeologica – Beni Culturali. La casa Editrice di Tivoli (Roma), nata nel 2002, possiede diverse Collane editoriali, da I Frammenti degli storici Greci alla Biblioteca del Lazio, dalla Narrativa alla Sezione Arte. Edita inoltre alcune riviste, come Rationes Rerum, Rivista di Filologia e storia, e pubblicazioni scientifiche periodiche come Picvs, Studi e ricerche sulle Marche nell’antichità.

L’autrice, Giuseppina Alessandra Cellini, ha elaborato un corpus delle sculture anziati stilando un catalogo degli esemplari conservati in raccolte pubbliche o private, di quelli dispersi sul mercato antiquario e dei pochissimi ancora in loco, compresi quelli trafugati in anni recenti. Il compito è stato arduo e faticoso perché nel tempo, oltre ai furti, si è verificata una capillare dispersione delle sculture in collezioni private e pubbliche, straniere e italiane, in molti casi attraverso percorsi non trasparenti e autorizzati e per questo molto difficoltoso da ricostruire.