Un Parco Nazionale per il Tevere. Il nome attuale deriverebbe da re latino Tiberino Silvio. Il Tevere era visto con paura dagli abitanti, vuoi per le paludi vuoi per le piene improvvise. I primi villaggi nacquero sui colli. Il Tevere è sempre stato biondo, questo non è solo dovuto al suo inquinamento, che dipende dai metalli pesanti soprattutto delle industrie e dagli scarichi abusivi, ma dalla sospensione della particelle di sabbia nell’acqua.
Per l’Autorità di bacino dell’Italia centrale il Tevere, il fiume è “pulito”. Al punto che, alla sua foce, si avvistano anche i delfini. Si faccia il Parco Nazionale. E’ questa la proposta fatta nella presentazione di “Tevere Nostrum”, il libro recentemente curato da Erasmo D’Angelis il segretario generale dell’Autorità di bacino distrettuale dell’Italia Centrale.
Il più antico sacerdozio romano, il Pontifex, fu istituito per la costruzione del ponte dell’Isola Tiberina proprio per questa “paura”, il primo ponte di Roma il Ponte Sublicio.
Il Tevere fu navigato nei vari momenti storici in epoca classica fino all’emporio (sotto l’attuale rione di Testaccio). Dopo con l’interramento del fiume col metodo dell’alaggio, cioè su chiatte o barconi che venivano rimorchiati dalla riva. Dell’Ottocento i buoi vennero sostituiti da rimorchiatori a vapore, che trascinavano tre o quattro chiatte.
I porti furono:
- Il porto dell’Emporium era stato abbandonato già in epoca medioevale, e il nuovo attracco si consolidò sulla riva destra (che era detta “Ripa Romea“: era in effetti molto più comodo, per i pellegrini, sbarcare sulla riva dove era posto il Vaticano). Questo approdo era detto, per antonomasia, Ripa.
- Modificando il percorso delle mura a porta Portese, il porto venne ricostruito nel 1642 un po’ più a monte, all’interno della cinta daziaria, in corrispondenza dell’ospizio di San Michele, e divenne il porto di Ripa Grande, dedicato a merci e uomini in arrivo da Ostia.
- Sulla riva sinistra, a monte di Castel Sant’Angelo, venne costruito nel 1704il porto di Ripetta, dedicato soprattutto al traffico con il retroterra umbro.
- Più a valle sulla riva destra, poco più giù di porta Santo Spiritoc’era un altro porto. Era detto “porto dei travertini” perché era stato utilizzato per i marmi destinati alla costruzione della basilica di San Pietro.
Fino alla caduta dello Stato Pontificio i ponti cittadini sul Tevere erano soltanto quattro: ponte Mollo, il ponte di Castello, ponte Sisto e i due ponti attraverso l’isola Tiberina, ponte Cestio e il ponte dei Quattro Capi. Un’altra presenza sul fiume, che datava dal medioevo e della quale ora non c’è più traccia, erano i molini ad acqua.
Le piene del fiume sono sempre state un problema per Roma:
- Livioattesta che le piene del Tevere, spesso disastrose (come quelle del 215 a.C.), erano ritenute dal popolo romano annunciatrici di eventi importanti o punizione degli dei irati, e certo comportavano epidemie causate dal ristagno delle acque.
- Le grandi piene (mediamente almeno 3 o 4 per secolo) sono sempre arrivate a Roma dalla via Flaminia.
- Cesareimmaginò di raddrizzare i meandri urbani del fiume deviandolo attorno al Gianicolo.
- Augusto, di temperamento più realista e “amministrativo”, dopo aver nominato una commissione di 700 esperti si limitò a disporre la pulizia dell’alveo fluviale e ad istituire una magistratura apposita, i Curatores alvei et riparum Tiberis, carica che Agrippa tenne per tutta la vita.
- Gli esperti di Tiberiosuggerirono di deviare le acque del Chiani verso l’Arno, ma per l’opposizione dei fiorentini non se ne fece nulla.
- A Traianosi deve il completamento del canale di Fiumicino (la cosiddetta Fossa Traiana) iniziato da Claudio, funzionale alla navigabilità del fiume, ma anche a migliorare il deflusso delle acque verso il mare.
- L’ultimo imperatore che dispose una pulizia radicale dell’alveo e un’arginatura del fiume fu Aureliano.
- Incessantemente Roma nei secoli venne allagata dalle piene del Tevere, un vero flagello per l’Urbe. Ancora sui vecchi muri del centro storico vi sono lapidi che ricordano il livello delle acque raggiunto da quelle alluvioni.
- Nel 1875Garibaldi, arrivato a Roma come parlamentare, risuscitò l’idea di Cesare di deviare il corso del fiume presentando una proposta in merito.
- La proposta di Garibaldi risuscitò comunque la Commissione, che il 23 settembre non approvò il progetto di Garibaldi, ma quello conservativo dell’ingegnere Raffaele Canevari.
- Alla fine del 1876il Governo assegnava l’appalto del primo lotto dei lavori, che durarono 25 anni. Il Porto di Ripetta non fu mai ricostruito, ma una nuova piena disastrosa del fiume nel 1900, che superò i 16 metri, mostrò che il contenimento fornito dai muraglioni funzionava (anche se alla fine crollarono 125 metri di argine tra Ponte Garibaldi e Ponte Cestio). L’ultimo tratto dell’opera, sotto l’Aventino, fu completato nel 1926, a cinquant’anni dall’inizio.
- L’ultima grande alluvione avvenne nel dicembre 1937.
- Il 12 agosto del 1940 s’ inaugurò il drizzagno facendo esplodere gli ultimi diaframmi e deviando le acque nel nuovo alveo artificiale. Già dall’inverno del 1940 questo invaso, assieme al nuovo drizzagno, scongiurarono il pericolo di altre grandi alluvioni, alluvioni che da allora, a Roma, non si verificarono più per straripamento del Tevere.
Salvata dalle esondazioni la città perse tuttavia il contatto con il suo fiume. Il Tevere ha molte potenzialità, ma anche tante forme di abbandono, che fanno dell’immagine del fiume e dei dintorni una forma di sciatteria.
“C’è un problema evidente di abbandono eppure ci sono tante associazioni e cittadini volenterosi che credono nel riscatto. Il Tevere è un corridoio ecologico che attraversa una gran parte del Paese e nel tempo del riscaldamento globale è davvero una risorsa”.
“Il Tevere ha tutte le carte in regola per candidarsi a essere il 26esimo parco nazionale italiano. La nascita di ognuno dei nostri 25 parchi nazionali è stata una sfida, noi lanciamo la sfida Tevere”. Così Erasmo D’Angelis, segretario generale del’Autorità di bacino dell’appennino centrale.
“E’ arrivato il tempo di recuperare condizioni di rischio e di degrado con opere strutturali e manutenzioni e abbiamo ormai un quadro chiaro di azioni che richiedono coesione istituzionale e partecipazione nei contratti di fiume”. “Proteggere il fiume non significa farne un museo ma riportarlo al centro dell’attenzione pubblica, valorizzarlo come via d’acqua e infrastruttura ecologica dell’Italia centrale, come merita il nostro più antico antico monumento fatto di storia e natura”. “C’è l’urgenza di una svolta per la valorizzazione e la fruizione e sul piano della sicurezza idraulica, rafforzando le difese dalle alluvioni, necessarie e urgenti al tempo dei cambiamenti climatici. Oggi ricucire e connettere le sue 18 aree già protette da parchi fluviali e oasi regionali significa non solo proteggere le sue acque ma anche il territorio dalla sorgente alla foce”.
Da un’analisi, effettuata dall’economista Mauro Grassi, sul parco nazionale del Tevere viene messo in evidenza che “si svilupperebbe su 80 mila ettari di territorio” e che “sarebbe il sesto parco nazionale per dimensione, e avrebbe un costo di gestione intorno a 3,2 milioni. Il valore di ritorno sarebbe invece di 21,4 milioni, con un surplus di 18,2 milioni”.
Per Angelo Borrelli, Capo Dipartimento Protezione Civile “è un ulteriore passo in avanti rispetto al concetto di sicurezza e vivibilità del Tevere. Ma bisogna lavorare senza sosta e vincere tutte le resistenze che si possono incontrare. Serve una normativa che ci consenta di mettere in sicurezza i nostri fiumi e i nostri territori”. Per esempio – viene spiegato – che “riparare i danni di una alluvione di Roma” come quella con “la piena del 1937 costerebbe 28 miliardi di euro” mentre “prevenirla, con 48 opere, un solo miliardo”.
“Il lavoro e l’impegno dell’azienda negli ultimi anni – ha spiegato Stefano Antonio Donnarumma, amministratore delegato di Acea – hanno contribuito a rendere il fiume più vivo e più pulito, con un livello sempre maggiore di efficienza per quanto riguarda i controlli ambientali e la qualità delle acque”. I quattro principali impianti di depurazione in città, insieme all’eliminazione degli scarichi illegali, stanno contribuendo alla salvaguardia del Tevere.
Alla rinascita del Tevere contribuiscono anche le azioni messe in campo dalla tante realtà che, attraverso la regia della Regione, puntano a sottoscrivere il contratto di fiume. Si tratta di “uno strumento di governance e partecipazione per il miglioramento della qualità delle acque – ha più volte spiegato Cristiana Avenali a capo del relativo ufficio di scopo – si parte da questo e si arriva a concertare le iniziative per la messa in sicurezza idraulica, contro il dissesto idrogeologico”.
La sistemazione di due reti “acchiappa-plastica”, sistemate alla foce del Tevere, hanno suscitato una grossa attenzione dal parte della cittadinanza. Fino ad ora sono stati intercettati oltre 500 chilogrammi di plastica, nelle sue acque.
Con uno sguardo alla suggestiva proposta di trasformarlo nel ventiseiesimo parco naturale italiano.
Link e foto