Palazzo Cipolla fu costruito durante gli anni dell’annessione di Roma al Regno d’Italia dall’architetto Antonio Cipolla con uno stile neorinascimentale, ispirandosi in particolare a Palazzo Farnese, di cui Cipolla aveva curato il restauro. Insieme al prospiciente Palazzo Sciarra, su via del Corso, è oggi una delle sedi espositive della Fondazione Roma, ente morale che opera per promuovere e realizzare iniziative artistico-culturali; il progetto più rappresentativo è stato l’apertura del Museo Fondazione Roma, avvenuta nel 1999 per volontà del presidente della Fondazione Emmanuele F.M. Emanuele. La Fondazione Roma ha realizzato nella sede di Palazzo Cipolla 46 esposizioni temporanee in collaborazione con i più importanti poli museali italiani e stranieri.
La nuova mostra sarà dedicata a Corrado Cagli (Ancona il 23 febbraio 1910 – Muore a Roma, nella sua dimora all’Aventino, il 28 marzo 1976).
Queste la parole della Fondazione Roma, Franco Parasassi, per accettare la Presidenza della Fondazione.
Investito del grande onore di raccogliere il testimone lasciato dal Prof. Avv. Emmanuele Francesco Maria Emanuele alla guida della Fondazione Roma, sento la responsabilità smisurata di dare continuità e futuro all’imponente ed ineguagliabile lavoro da lui svolto in più di venti anni di Presidenza per restituire dignità da protagonista alla Fondazione Roma, che agli inizi degli anni ’90 del secolo scorso doveva recuperare e far crescere la tradizione filantropica della Cassa di Risparmio di Roma e del Monte di Pietà di Roma, e per far sentire alla comunità di riferimento la solidale vicinanza di questa prestigiosa istituzione, chiamata a sussidiare il soggetto pubblico sempre più assente e carente nel garantire un efficiente sistema di protezione sociale.
Nel 1929, a Umbertide, Corrado Cagli, inizia a lavorare nella fabbrica di ceramiche d’arte Rometti dove, l’anno dopo, sarà nominato direttore artistico. Nello stesso anno, sempre ad Umbertide, nella casa Mavarelli-Reggiani, esegue un affresco di 60 metri sul tema della Battaglia del grano, suddiviso in dodici riquadri che rivestono le quattro pareti della sala.
Nell’aprile del 1932 Cagli inaugura una personale con Adriana Pincherle alla Galleria di Roma, diretta da Pier Maria Bardi, nella quale espone La Fortuna e vari ritratti – fra cui il Ritratto di Sclavi e Igino – studi, disegni, alcune ceramiche e la scultura Ritratto di Serena. Successivamente fonda, assieme a Giuseppe Capogrossi ed Emanuele Cavalli, il Gruppo dei Nuovi Pittori Romani. Alla fine dell’anno ha già decorato alcune pareti alla Mostra romana dell’Edilizia ed eseguito Preparativi alla guerra (una tempera all’uovo su muro di 30 metri quadri) nel vestibolo della V Triennale di Milano quando, su invito della Commissione Archeologica di Salerno, si reca a Paestum e visita, probabilmente, anche Napoli e Pompei). Il viaggio, durante il quale esegue dipinti e disegni, sarà importante per la sua conoscenza della pittura pompeiana.
Nel 1933 scrive l’articolo Muri ai pittori, fondamentale per la storia del muralismo italiano, in cui formula i suoi fondamenti teorico-estetici, sostenendo delle posizioni affini a quelle che Sironi andava esprimendo nello stesso periodo:
«“Richiamo l’attenzione su due fatti di grande importanza: uno avviene in pittura, l’altro in architettura. Fatti dai quali non si può prescindere se si vuol supporre per logica anziché per intuizione il divenire dell’estetica nella plastica contemporanea. In pittura, e ormai da tempo, e sotto diversi cieli, si manifestano aspirazioni all’arte murale, all’affresco. Manifestazioni antitetiche anche se parallele nell’intenzione, per la diversa genesi geografica e spirituale. Nel primo caso sottolineo il senso culturale e snobistico che può avere l’affresco in un nord-americano affinché si noti quanto sia più spontanea la stessa aspirazione in un umbro o in un toscano. Né intendo sostenere diritti di tradizione. Ma penso al mirabile esordio di maestri comacini con le prime forme romaniche, e al loro metafisico perdurare (se non è leggenda la strage subita) in comaschi del nostro secolo fino a Sant’Elia e Terragni. Quanto alla genesi spirituale alludo ai motivi che inducono alla pittura su parete. Molteplici, iniqui o giusti che siano. Iniqui motivi: quelli che sono in funzione di una accademica diagnosi dell’ultimo trentennio, e di un mediatore spirito pseudoumanistico che porta a vagheggiare forme rinascimentali (esistono ancora preraffaelliti) attraverso il caleidoscopio falso e scolastico dei bozzetti, dei cartoni, degli spolveri. Giusti motivi: quelli che segnano il superamento delle forme pure e preludono a sensi di pittura ciclica; al neoformalismo classicheggiante, e arcaico, contrapponendo il primordiale. Nella necessità del ciclo, nella movenza di primordio, sono visibili i segni di un superamento delle tendenze di ripiego, tra le quali è da considerare tipica la scuola del Novecento milanese. Né tale situazione è singolare nella pittura. In musica, in letteratura, in tutte le arti, è lo stesso bisogno di stupore e di primordio che si fa sentire, la stessa angoscia di abbandonare il frammento, e, liberati da un complicato intelletto, farsi i muscoli e il fiato per un’arte ciclica e polifonica. Quanto si fa in pittura oggi al di fuori della aspirazione murale (che ha persino mutato lo spirito della pittura da cavalletto influenzandone l’impianto e la materia) è fatica minore e, storicamente vana. A convogliare la forza della pittura contemporanea occorrono i muri, le pareti. Segnalata l’aspirazione murale della pittura odierna, l’altro fatto importante da considerare riguarda l’architettura. Alludo alla crisi estetica che va traversando quell’arte, crisi che ancora più si inasprirà il giorno che il razionalismo sarà divenuto patrimonio comune. Ho sostenuto altrove che i ritmi dell’architettura contemporanea sono in funzione di una metafisica troppo scoperta, e collaborano a un’estetica, dopo tutto, barbarica. Respinti, per le ragioni che tutti sanno, moduli e fastigi, modanature e capitelli, l’architetto innovatore ha ritrovato dell’architettura il senso e il metro; ma, insieme, a queste altissime conquiste, ha contratto vizi stilistici e incongruenti ripugnanze. Questa è la stagione in cui la parete bianca non chiede alla statuaria soccorso per divenire allusiva e profonda, né chiede le figurazioni dipinte per un’errata interpretazione delle parole ‘sintesi’ e ‘metafisica’. In nome di queste due virtù si è operato in ‘povertà’ e ‘vaneggiamento’, se perfino Modigliani, che è dei più grandi, è stato piuttosto sommario che sintetico. L’architetto che non ha il senso orchestrale dell’unità delle arti non è raro oggi, ma si trova in condizioni di barbarie. A questo punto conviene ricordare che barbarico non significa primordiale. Allora, passato col vento su tali questioni della pittura e della architettura, considerati i caratteri essenziali che sono, nell’una la volontà di potenza e l’aspirazione ciclica, nell’altra l’intelligenza della costruzione fino all’inaridirsi della fantasia, vedo che si può concludere invocando la collaborazione delle arti, se non la fine delle specializzazioni.» |
Nel dicembre 1933, Cagli si sposta Parigi dove espone insieme a Capogrossi, Cavalli e Sclavi alla Galerie Jacques Bonjean. Organizzata dal conte Emmanuele Sarmiento, la mostra è presentata in catalogo dal critico Waldemar George che raggruppa i quattro giovani artisti sotto l’etichetta di Ecole de Rome. Cagli espone Ritratto del pittore Prieto, Edipo, La colomba, Natura morta, Composizione. La mostra ha numerose recensioni, sia in suolo italiano sia francese.
Si apre nel febbraio del 1935 al Palazzo delle Esposizioni di Roma la II Quadriennale d’arte nazionale, ordinata da C.E. Oppo. Cagli espone quattro pannelli murali asportabili per la rotonda allestita da Piero Aschieri. I pannelli, alti quasi 4 metri, raffigurano il tema della bonifica dell’Agro Pontino (sono costituiti da una Protasi e da tre Cronache del tempo). Presenta inoltre un cospicuo numero di opere: La Romana, Il neofita, Il Palatino, Ritratto di Afro, L’Angelica, I Sabaudesi, La notte di San Giovanni, I neofiti, Composizione, Battaglia, Sette pennelli e sei disegni. Gli viene assegnato un premio di 10.000 lire.
Nel giugno del 38′ si apre la XXI Biennale di Venezia. Cagli partecipa con un affresco su intonaco, Orfeo che incanta le belve, di cui esiste un cartone preparatorio.
Alla fine del 1938 è costretto a scegliere la strada dell’esilio, a seguito della proclamazione delle leggi razziali e dell’intensificarsi degli attacchi antisemiti nei confronti della sua persona e della sua opera. Si stabilisce prima a Parigi dove continua ad esporre e, alla fine dell’anno 1939, da Cherbourg, si imbarca alla volta di New York. Nella “grande mela” la sua arte non passa inosservata ed espone qualche tempo dopo il suo arrivo alla rinomata Julien Levy Gallery.
Nel 1941, nel mese di gennaio, tiene una personale al Civic Center Museum di San Francisco, ma due mesi dopo Cagli si arruola nell’esercito americano. Non cessa tuttavia la sua attività artistica, realizzando un cospicuo numero di dipinti e disegni e partecipando agli eventi espositivi come una personale alla Shaeffer Gallery di Los Angeles ed una personale di disegni al Wadsworth Atheneum di Hartford.
Nel 1943 si trasferisce in Gran Bretagna al seguito dell’esercito e l’anno successivo partecipa alle campagne di Francia, tra cui lo Sbarco in Normandia, Belgio e Germania. In questi anni realizza il celebre ciclo di disegni sul tema della guerra, tra cui spiccano le immagini ritratte al campo di concentramento di Buchenwald alla cui liberazione egli prese parte tra le truppe alleate. Al termine della guerra ritorna a New York dove prosegue la sua attività sperimentando tecniche e stili sempre cangianti ed è tra i fondatori del The Ballet Society (odierno New York City Ballet) insieme a George Balanchine e Lincoln Kirstein. All’interno della compagnia Cagli era colui che realizzava le scene e i costumi.
Nel 1948 decide di rientrare definitivamente in Italia e si stabilisce in uno studio in via del Circo massimo.
La stabilità e la tranquillità gli permettono di proseguire il suo percorso di ricerca analitica in pittura e di partecipare ad eventi espositivi sia in suolo italiano che estero. Intorno a lui gravitano numerosi artisti tra cui Mirko Basaldella, Capogrossi, Alberto Burri, Renato Guttuso. Negli anni 1949-1950, partecipa alla costituzione dell’importante collezione Verzocchi, sul tema del lavoro, inviando, con un autoritratto, Il vasaio; la Collezione oggi è conservata nella Pinacoteca Civica di Forlì.
Non lascia tuttavia l’attività di scenografo e costumista, partecipando a numerose rappresentazioni teatrali come: Tancredi di Rossini, del 1952; Macbeth di Bloch, del 1960; Estri di Petrassi, del 1968; Persephone di Stravinsky, del 1970; Agnese di Hohenstaufen di Spontini, del 1974; Missa Brevis di Stravinsky, del 1975. Artista versatile che aveva ben chiaro che cosa significasse fare pittura, Corrado Cagli rifiutava di farsi ingabbiare nel recinto delle definizioni. “In arte una sola logica è dannosa”, scriveva giovanissimo nel 1933 sulla rivista Quadrante, diretta da Massimo Bontempelli, precisando di poter seguire senza problemi la pittura figurativa e l’ astrazione, le due logiche allora in contrapposizione.
Conosciutissimo e rispettato dai critici era un personaggio non facile, al quale la storia dell’ arte non ha riservato il posto che avrebbe meritato. Mettere a fuoco sulla base di questi presupposti la figura complessa del pittore anconetano guardandola con occhi nuovi è l’ obiettivo della mostra “Corrado Cagli. Folgorazioni e mutazioni”, che la Fondazione Terzo Pilastro – Internazionale propone a Palazzo.
Cipolla, a Roma, fino al 6 gennaio 2020. Il curatore Bruno Corà, direttore della Fondazione Burri, ha selezionato in collaborazione con l’ Archivio Cagli una ricca antologia di 200 opere provenienti da istituzioni e collezioni private di prestigio per descrivere il percorso e l’ attività di un autore che si è messo alla prova a tutto campo.
“Il filo fondamentale del racconto è chiarire che Cagli, maestro indiscusso del Ventesimo Secolo, non è un eclettico, ma un artista che ha molto chiaro il concetto della logica artistica”,intervistato da Lucani Fioramonti avverte Corà.