De Romanis a San Salvatore in Lauro – La simbologia delle opere
di ROBERTO LUCIANI
Una straordinaria antologica di Agostino De Romanis è attualmente esposta nel Complesso monumentale di San Salvatore in Lauro a Roma nella mostra De Romanis. L’arte incontra i sogni. Sono allestite due grandi sculture in terracotta smaltata e oltre quaranta opere pittoriche, datate tra il 2000 e il 2020, che tuttavia privilegiano la produzione più recente. L’evento risulta essere il culmine professionale di un uomo che da più di cinquant’anni vive la sua esperienza di artista dentro concetti e linguaggi tra i più audaci e coerenti.

L’Indonesia, fonte di ispirazione
Il maestro ha trascorso lunghi periodi della sua esistenza in Indonesia, alla ricerca di quei fantasiosi colori del cielo e del mare, riuscendo a condensare nei suoi quadri visioni viste con occhi incantati: talora le sagome degli animali e degli uomini presenti sono solo abbozzate, lavorate come elementi contemplati con l’anima, per cui queste sequenze poggiano su retroterra interiore, come se la figura recitasse in un teatro antico.
Uomini, donne, uccelli, alberi misteriosi che si stagliano sul cielo, costruiscono ombre e piani prospettici, volumi e vuoti magici, come in Seminatore delle risaie (2007) o In difesa dell’amore (2004, trittico), solo per citarne due emblematici.
Nelle opere troviamo anche figure eteree, “presenze”, il cui significato è sempre da ricercare, la cui tonalità è sempre aperta e indefinibile, la cui provenienza è la struggente dolcezza della memoria. Si tratta di seminatori delle risaie, donne velate, giganti, cavalieri, portatori del tempio. Queste figure sono simboli di un mondo straordinario che l’uomo moderno presto annienterà, sono cupi presagi d’allarme.
In opere sempre attentamente progettate e capaci di delineare lo spazio fisico e quello dell’anima, vi sono ancora giardini incantati, maghi folli, il Re pittore, matrone e angeli, attese strazianti, vuoti privi di speranze, malinconie, silenzi e sogni. Sia l’assenza delle “cose” che la loro presenza, sono fantasmi d’una realtà non reale ma trasognata; queste apparizioni, queste presenze, questi protagonisti della scena infondono un senso metafisico di solitudine onirica e spirituale.

La simbologia
La simbologia delle opere di De Romanis è difficilmente codificabile, interpretabile solo dopo attenta visione, soprattutto da osservatori dall’anima sensibile ed inquieta. E’ il caso de La Mano benefica (2005) dove è visibile una grande mano che guarisce un cavallo di un giovane indonesiano.
A livello di speculazione estetica e formale Agostino sperimenta diverse licenze pittoriche, come la cancellazione parziale dei contorni delle figure umane, inserite in prospettive e piani non rigorosi, concetti che, rivisti e rivisitati, si ritrovano nella genesi di alcune composizioni di Paul Cézanne (1839-1906) e di Giorgio Morandi (1890-1964), ma soprattutto della pura arte metafisica che non possiede legami con la realtà naturale o storica che sia, neppure per trascenderla.
Nel momento in cui gli aspetti formali si definiscono e si arricchiscono in un intenso sviluppo creativo, l’artista si cimenta nella ricerca di contenuti emergenti dalla sua anima in rivolta. Infatti non si può capire l’arte di De Romanis, senza guardare nella tela e al di là della tela, il quadro convulso, instabile, drammaticamente coinvolgente della nostra epoca, alla cui problematica l’artista partecipa con lucida intensità.

Volo verso il mondo felice
Dai primi anni Ottanta il maestro di Velletri inizia ad effettuare alcuni viaggi in Indonesia per trovare le suggestioni incantate di quella terra a recitare un ruolo di imprescindibile importanza, come se nella profonda sacralità reale ed immaginaria di quel luogo l’artista avesse trovato la rivelazione che Paul Gauguin aveva trovato nei miti indigeni della Polinesia.
Il momento che segna una svolta nel suo percorso artistico è infatti legato alla scoperta dell’Indonesia e in particolare di Bali, e più in generale, allo sviluppo di una sensibilità intellettuale che considera con nuova attenzione percezioni del mondo e della cultura diverse da quelle occidentali.
L’apice di questo sviluppo artistico si ha poco dopo il Duemila, quando l’opera Volo verso il mondo felice, olio su cartone, 2003, cm 120 x 80, è stata realizzata.
Iconograficamente vi troviamo tutti i simboli cari al maestro. In un cielo azzurro e verde (nella parte alta) carico di sfumature si stagliano volti primordiali in atteggiamento rituale che sembrano assistere, o meglio favorire, il volo appaiato di un uccello e di un uomo. Il grande uccello in primo piano, totalmente rosso, è mitologico e occulta in parte il corpo dell’uomo dal cui volto traspare un’infinita gioia interiore. I due volano da destra verso sinistra, dove si trova una palma dal fascino esotico. L’uomo e l’uccello quindi, grazie all’intercessione delle divinità, volano verso la natura incontaminata, verso un mondo migliore, un “mondo felice”.

Il grande uccello delle risaie
Nella produzione dell’Artista a cavallo del duemila i riferimenti esotici diventano intensi in coincidenza con i viaggi in Indonesia: i paesaggi, le isole, le risaie, i volti e i colori presenti nei suoi olii parlano dell’ampio registro di un’anima capace di contenere i meditativi silenzi delle preghiere sul fiume Kalimantan, dei vulcani di Semeru, Java e Lombok, della giocosità della gente dell’isola di Giava, delle vaste risaie sotto vento dell’isola di Bali.
In queste opere De Romanis emana una luce interiore incamminandosi verso la dimensione spirituale dell’arte e della sua percezione visiva, come se fosse quello di un immaginario mondo, vissuto in una indefinita epoca, solcando il varco tra il metafisico e il fisico.
E’ quello che estrinseca l’opera Il grande uccello delle risaie (olio su carta intelata, 2005, cm 100 x 70), dove in una risaia a gradoni, densa di sfumature di colore verde e marrone, emergono enigmatiche raffigurazioni, mentre nella parte sommitale si staglia un rosso uccello “esoterico” dal grande becco capace di riscoprire il volto di un indigeno coperto negli occhi e impreziosito nella fronte da un filare di perle bianche o forse il volto di un’antica scultura rimasta sepolta millenni assurgendo a simbolo dell’umanità rigenerata.
Incantato dalla luce diafana e dai profumi intensi indonesiani, dal volo e dai colori del Macrocephalon Maleo, dalle pietre di giada e ambra, dall’acuta esalazione odorosa della Raflessia Arnoldii, dalle migliaia di isole, il nostro Artista ha trasposto il suo sentire nei giacimenti della memoria storica, traendone una poeticità nuova delineata da una declinazione linguistica singolare ed esclusiva.

Fuoco che non cattura la purezza
Nelle opere del significativo ciclo indonesiano i gesti e le pose degli uomini nelle risaie, gli elementi naturali e fantastici nelle foreste, sono la magia e il sogno stesso dell’Artista, il surreale teatro mediante il quale egli riesce a rappresentare il senso del sacro e le attese dell’esistenza.
È la ritualità l’elemento fondamentale dell’opera Fuoco che non cattura la purezza (olio su cartone, 2003, cm 120 x 80): sul basamento architettonico a gradoni di un tempio posto sopra un colle irto si sviluppa un fuoco dissacrante innescato dai nemici dell’Armonia dell’uomo. Alla raccapricciante scena assistono volti di donne, uomini e animali terrorizzati collocati in un cielo plumbeo. Tuttavia la Purezza, ammantata di una lunga “toga” simbolo di regalità e raffigurata all’interno di una mandorla rossa posta nell’alto della composizione, legata con un filo ad una sorta di prezioso scrigno simboleggiante l’origine delle cose e quindi Dio, non viene investita dalle fiamme. Così come la palma (in ceramica smaltata) posta alla sinistra del fuoco si è piegata ma non bruciata. La natura e gli uomini sono salvi.
Conclusioni
Tutte le opere esposte nella mostra De Romanis. L’arte incontra i sogni, a cura di Roberto Luciani (catalogo Il Cigno), accompagnano il visitatore alla scoperta di questo artista così raro, originale, uno dei creatori più puri della storia dell’arte contemporanea, dove il colore della sua tavolozza rende possibile la visione della bellezza e dei sogni.
In queste opere De Romanis emana una luce interiore incamminandosi verso la dimensione spirituale dell’arte e della sua percezione visiva, come se fosse quello di un immaginario mondo, vissuto in una indefinita epoca, solcando il varco tra il metafisico e il fisico.
Armonizzando la propria dimensione con quella del mito, il Maestro si lega all’immaginario dei luoghi, allo scavo della memoria, all’evocazione immaginifica, vivendo attraverso le forme della natura, offrendo lo spunto per una critica rilettura dell’inquietudine dell’uomo occidentale contemporaneo, agognante un tempo decostruito perduto.