Il lago di Bracciano, distante 30 km dalla città di Roma, è stato teatro dell’importante ritrovamento di una piroga d’origine preistorica del periodo neolitico (6000 – 4000 a.C.).

L’imbarcazione, al momento della scoperta era spezzata in due parti, inoltre da una prima analisi del reperto, è risultata incompiuta, e ciò potrà agevolare molto gli archeologi nello studio delle tecniche di fabbricazione adottate dai maestri d’ascia del tempo, stanziati in questa zona. La sua lunghezza si aggirava sui 9.50 metri, e lo strato di melma che la ricopriva, ormai da vari millenni, l’ha protetta integralmente facendocela pervenire in uno stato pressoché intatto.
La zona del lago in cui è stato ritrovato il prezioso reperto, è quella detta della “Marmotta”, sotto il promontorio della cittadina di Anguillara Sabazia, a circa 12 metri di profondità, dove giacciono i resti di un villaggio neolitico, ai cui scavi si alternano, fin dal 1989, squadre di archeologi del museo Pigorini. E’ interessante notare come tra i numerosi reperti scoperti negli anni passati, ci sia una piroga, ora in mostra presso il museo Pigorini.
Un museo del mare nel luogo dell’antico porto di Pyrgi e del Castello di Santa Severa
Il Museo Civico di Santa Marinella è stato istituito nel 1993 come Antiquarium Navale destinato a raccogliere ed illustrare i reperti archeologici subacquei provenienti dai fondali pyrgensi e dalla costa etrusca.
Il Museo Civico di Santa Marinella “Museo del Mare e della Navigazione Antica” si inserisce nell’ambito della straordinaria area archeologica e monumentale di Pyrgi e del Castello di Santa Severa. Un luogo di grande importanza storica per il litorale nord di Roma, frequentato dalla preistoria fino ai giorni nostri in maniera ininterrotta.
La struttura: situata all’ingresso del borgo castellano si articola su due piani a diversi livelli negli spazi un tempo occupati da vari appartamenti denominati La Polveriera, Casa del Commendatore, Il Caminetto, Casa di Giunone, Casa dei Palaroli, Casa dei Vigili e La Scuola per un totale di circa 770 mq.
Presso la vetrina centrale è collocato un piccolo dolio originale utile per raccontare al visitatore il tema dei relitti delle grandi navi cisterna di epoca romana (Diano Marina, Ladispoli ecc.) cariche di giganteschi contenitori in terracotta (dolia), molto utilizzate tra il I secolo a.C. e il I secolo d.C. Sala II “Gli antichi sugli oceani” Tramite un breve corridoio coperto si accede alla sala dedicata agli “Antichi sugli oceani” un tema affascinante e poco noto al pubblico, relativo alle esplorazioni ed alle scoperte geografiche degli antichi uomini del Mediterraneo. Un grande plastico affisso al muro e alcuni pannelli didattici illustrano in sintesi i principali viaggi esplorativi effettuati oltre le Colonne d’Ercole, nell’Oceano Atlantico, nei lontani mari del nord e dell’estremo oriente. In base a quanto ricavato dalle fonti scritte ed archeologiche si raccontano alcune delle avventure di egiziani, fenici, punici, greci ed etruschi ai confini del loro mondo conosciuto (n. 12). Dalle esplorazioni egizie verso il Paese di Punt, al periplo dell’Africa effettuato dai Fenici alla fine del VII secolo a.C., ai viaggi dei Cartaginesi Annone ed Imilcone lungo le coste dell’Africa occidentale e verso le isole del settentrione, al viaggio del marsigliese Pitea nei mari del profondo nord europeo fino alle avventure di Greci e Romani nell’Oceano Indiano e nel Mar della Cina (nn. 13-15). Sala I, le anfore 7 Alcuni modelli di anfore romane sono collocati alla base del plastico dei viaggi oceanici, a testimoniare simbolicamente l’enorme sviluppo del commercio marittimo antico. Il visitatore può facilmente comprendere come molte esplorazioni siano state effettuate da coraggiosi navigatori del Mediterraneo, già prima dell’epoca delle grandi scoperte geografiche del XV e XVI secolo, quasi sempre spinti dall’incessante ricerca di materie prime e di nuovi mercati.
Nella vetrina sotto l’arco a destra è visibile il modello di una trireme, nave da guerra greca del V secolo a.C. in navigazione. Sulla sinistra della sala “Gli Etruschi sul mare” con nella vetrina il modello della nave oneraria etrusca in navigazione frutto di una paziente ricostruzione filologica basata su precise informazioni archeologiche ed iconografiche (n. 18).
Questa sala ospita la documentazione relativa agli apparati di sentina delle navi romane con specifico riferimento alle pompe idrauliche (nn. 24-28). Vengono illustrate con pannelli didattici e modellini ricostruttivi la pompa a bindolo, la noria, la coclea archimedea, la pompa a stantuffo.
Isola Tiberina
Nella prima metà del I secolo a.C. venne monumentalizzata in opera quadrata, parallelamente alla costruzione dei ponti Fabricio e Cestio, e del Vicus Censorius che li collegava al suo interno: si riprendeva la forma di una nave, di cui oggi è ancora visibile la prua, con blocchi di travertino che rivestono l’interno in peperino, e alcune decorazioni raffiguranti Esculapio con il suo serpente e una testa di toro, forse utile per gli ormeggi.
Al centro vi era un obelisco, a raffigurare un albero maestro simbolico, ricordo dell’arrivo nel 292 a.C. da Epidauro del culto della divinità. Due anni prima infatti alcuni saggi si erano recati nella città greca per consultare la divinità dopo una grave pestilenza: il mito vuole che un serpente – simbolo del dio – si allontanò dal tempio e salì sulla nave, ed una volta giunti a Roma lo stesso animale scese sull’isola stabilendovisi; dopo la costruzione di un tempio dedicato al dio, si racconta che la peste svanì miracolosamente.
Fiumicino
Il Museo delle Navi di Fiumicino è stato realizzato tra il 1965 ed il 1979, ed ospita i resti di ben 6 imbarcazioni di età romana.
Durante la costruzione dell’aeroporto intercontinentale “L. Da Vinci” di Fiumicino, vennero alla luce le imbarcazioni attualmente conservate nel Museo delle Navi Romane, il cui scavo e recupero fu promosso dall’allora ispettrice di Roma, dott.ssa Valnea Santa Maria Scrinari. I relitti erano posizionati a ridosso del molo destro del porto di Claudio in un’area marginale del bacino, facilmente soggetta ad insabbiamento. Possiamo ipotizzare che, in epoca antica, qui fosse ubicato un vero e proprio “cimitero” dove venivano abbandonate le imbarcazioni troppo vecchie e malridotte per prestare ancora servizio.
In alcuni punti le parti sommerse, non ancora coperte dalla sabbia e dal limo, sono state attaccate da animali perforatori del legno, come la teredine navale. Inoltre, l’aspetto nerastro degli scafi è stato determinato dai processi di carbonizzazione o di riduzione attivati dai microrganismi presenti negli strati di sedimentazione.
L’eccezionale collezione di imbarcazioni conservate nel museo di Fiumicino non solo arricchisce la nostra conoscenza delle varie tipologie navali utilizzate, a partire dall’età imperiale, per le diverse attività connesse con il porto di Roma e con la navigazione del Tevere, ma ci permette di ammirare il sistema di costruzione utilizzato dagli antichi mastri d’ascia. Completamente diverso dal procedimento attualmente in uso nel Mediterraneo che prevede la messa in opera, sulla chiglia, dell’ossatura interna (ordinate) e il suo rivestimento con le tavole del fasciame (costruzione su scheletro), in età greco-romana, dopo aver sistemato la chiglia, veniva costruito il guscio esterno costituito dal fasciame mentre l’ossatura era inserita successivamente con una funzione di rinforzo interno (costruzione su guscio). Il collegamento tra le tavole del fasciame veniva assicurato dai tenoni, sottili linguette in legno duro, inserite in appositi incassi (le mortase) nello spessore delle tavole. I tenoni, infine, erano bloccati da spinotti. In questo modo, le tavole del fasciame potevano mantenere la forma desiderata e il guscio acquistava un’eccezionale solidità grazie ai numerosi collegamenti interni.
Oggi nel Museo delle Navi Romane è possibile ammirare i resti delle cinque imbarcazioni, i materiali recuperati durante gli scavi, così come altri oggetti archeologici, anche lapidei, provenienti dall’area dei porti imperiali. In ultimo, grandi pannelli illustrano le principali rotte antiche, così come i principali rinvenimenti di navi antiche in Europa. Attualmente il Museo è chiuso.
Nemi
Museo delle Navi di Nemi. Il progetto si pone all’interno di una precisa linea del Polo volta a valorizzare non soltanto i contenuti, ma anche i contenitori, cioè gli edifici dei 43 fra musei, istituti e luoghi di cultura che il Polo stesso ha in gestione.
Nel caso di Nemi, l’obiettivo consiste nel recupero della spazialità e fin dove possibile anche degli equilibri concepiti dall’architetto Vittorio Ballio Morpurgo, che progettò il Museo delle Navi Romane, costruito fra il 1934 e il 1940.
Morpurgo (1890-1966), allievo di Gustavo Giovannoni, fu uno dei più raffinati esponenti della scuola romana del razionalismo. L’architetto/ingegnere raggiunse risultati d’eccellenza particolarmente in ambito museologico. Nel 1921 assieme a Giovannoni e a Marcello Piacentini organizzò la Mostra d’arte per il cinquantenario di Roma capitale. Alla metà degli anni trenta Morpurgo realizzò la sistemazione urbana di piazza Augusto Imperatore.
Il Museo delle Navi di Nemi, come si evince dal nome, era adibito a conservare e mettere a disposizione del pubblico quel che rimaneva di due grandi navi realizzate al tempo dell’imperatore Caligola (37-41), riportate alla luce fra il 1929 e il 1931. Ironicamente, nella loro nuova sistemazione le navi ebbero vita breve: entrambe sarebbero perite difatti in un incendio del 1944. Dal 1944, il Museo di Nemi divenne sostanzialmente il Museo del contenitore di Vittorio Ballio Morpurgo. Tornato una prima volta in funzione tra il 1953 e il 1962, riaprì definitivamente le porte nel 1988.
Il progetto di recupero si è strutturato in due fasi successive. La prima fase si è svolta attraverso una fitta serie di piccoli interventi di ‘ricucitura’, volti all’eliminazione dei fenomeni di degrado più vistosi. La seconda fase ha puntato a ridefinire gli spazi e i percorsi del Museo, anche attraverso un opportuno progetto di riallestimento. Il risultato è il recupero di un’importante edificio e con esso di un’intera fase del razionalismo italiano in chiave romana.
Il Museo venne costruito tra il 1933 e il 1939 per ospitare due gigantesche navi appartenute all’imperatore Caligola (37-41 d.C.) recuperate nelle acque del lago tra il 1929 e il 1931. È stato quindi il primo Museo in Italia ad essere costruito in funzione del contenuto, due scafi dalle misure rispettivamente di m. 71,30 x 20 e m. 73 x 24, purtroppo distrutti durante un incendio nel 1944. Riaperto nel 1953, il Museo venne nuovamente chiuso nel 1962 e infine definitivamente riaperto nel 1988.
Sin dall’antichità il lago di Nemi fu oggetto di una leggenda riguardante due navi favolose di dimensioni gigantesche, costruite in epoca romana, ricche di sfarzo e forse contenenti dei tesori, che sarebbero state sepolte sul fondo del lago per ragioni misteriose.
Frutto di un’ingegneria avanzata e splendidamente decorate, Caligola le utilizzava come palazzi galleggianti in cui abitare o sostare sul lago, o con cui simulare battaglie navali. Ma in seguito alla sua morte avvenuta nel 41 d.C., il Senato di Roma (di cui l’imperatore era stato acerrimo avversario politico) per cancellarne il ricordo fece distruggere tutte le opere di Caligola, tra cui anche le navi di Nemi che furono affondate sul fondo del lago. Da allora la storia delle navi, unita al ricordo della loro magnificenza, fece presto a diventare leggenda.
Il primo a raccogliere le voci sulle Navi di Nemi fu, attorno alla metà del XV secolo, il Cardinale Prospero Colonna, il quale affidò a Leon Battista Alberti il compito del recupero. Il tentativo fu effettuato con l’ausilio di una grande zattera e l’intervento di nuotatori genovesi. Furono recuperate alcune fistole di piombo che permisero una datazione più precisa dell’epoca di costruzione delle navi.
Quasi un secolo dopo, il 15 luglio 1535, il bolognese Francesco De Marchi fece un tentativo avvalendosi di una specie di campana. Fu riportato in superficie “tanto legname da caricarne due muli”. Nel 1827, a opera del Cavalier Annesio Fusconi, si riprende l’esplorazione del fondo del lago con una campana di Halley.
Vengono recuperate pezzi di pavimento in porfido e serpentino, smalti, mosaici, frammenti di colonne metalliche, chiodi, laterizi e tubi di terracotta. Il 3 ottobre 1895 un provetto palombaro individua una delle navi e recupera una bellissima testa di leone in bronzo.
A condurre l’operazione è l’antiquario Eliseo Borghi autorizzato dai Principi Orsini. Su indicazione dei pescatori, il 18 novembre, viene localizzata anche la seconda nave che fornisce altro abbondante materiale.
Il recupero delle navi vere e proprie, avvenuto per volere del Governo fascista e del Ministro della pubblica istruzione Pietro Fedele, fu un’opera mastodontica che richiese, in un tempo di quasi 5 anni (ovvero dall’ottobre del 1928 all’ottobre del 1932), l’abbassamento del livello del lago per mezzo di idrovore. Dopo quell’intervento, anche dopo il successivo riempimento del lago il livello dell’acqua non tornò mai più ad essere quello originario.
L’impresa di recupero fu resa possibile dall’Ing. Guido Ucelli che fece sì che le idrovore necessarie fossero fornite dalla società Riva Calzoni di Milano e, in tale occasione, fu insignito del titolo ‘di Nemi’. Per fare defluire le acque aspirate dalle idrovore fu utilizzato un preesistente emissario artificiale, risalente all’epoca romana, restaurato proprio in occasione del recupero delle navi.
Un incendio scoppiato la notte dal 31 maggio e durato fino al 1º giugno del 1944 distrusse le due navi e gran parte dei reperti che erano custoditi con esse.
L’architetto Di Benedetti, rilevando una serie di elementi, prima sconosciuti, giunse ad una scoperta sensazionale: l’individuazione dei resti della terza nave di Caligola ancora immersa nel fondo del lago di Nemi. Se la realtà confermerà i dati storici, che appaiono inequivocabili, quella nave dovrà essere considerata come la nave in legno più grande mai costruita dall’intera Umanità.
L’architetto ha anche scoperto il motivo per il quale questa nave, dopo la metà del diciannovesimo secolo, nessuno l’ha più vista, nemmeno quando il livello del lago fu fatto scendere a meno 23 metri dal livello dell’emissario e fu, per l’ultima volta, inutilmente cercata.
Seguendo indicazioni mai prima conosciute, ha definitivamente accertato che la nave c’è, ma non può essere vista a causa di un’enorme frana della parete rocciosa a fianco all’antico molo dove era attraccata. Solo dopo aver constatato la grande entità della frana, mai notata, l’architetto ha potuto accertare, attraverso rilievi specifici, che sotto uno strato di pesantissimi massi rocciosi è presente un’estesa lastra conducente energia elettrica. Lastra che si può riferire al rivestimento in piombo che proteggeva all’esterno gli scafi delle tre navi del lago di Nemi.
La nave è ora a disposizione dello Stato che, attraverso il Ministero dei Beni Culturali deve autorizzare la messa in salvo. Cosa per la quale l’architetto sta già provvedendo mettendo a punto un sistema di recupero che consentirà un adeguato intervento in sicurezza senza necessariamente abbassare ancora il livello delle acque del lago. Il lago di Nemi, insomma, tornerà ad essere, e per un lungo tempo, al centro di una enorme attenzione da parte del mondo intero.
Museo Sacrario delle Bandiere – Roma
Il Museo Sacrario della Marina, ubicato nei locali a piano terra del Monumento al Milite Ignoto, fu inaugurato il 14 giugno 1961, nel quadro delle manifestazioni indette per celebrare i cento anni di vita della Marina Militare.
Il MAS 15 di Luigi Rizzo, un Siluro a Lenta Corsa (“maiale”), come pure una parte dello scafo del sommergibile Sciré, sono documento dell’eroismo dei marinai italiani. Intorno a questi tre cimeli bellici, sono raccolte nelle sale le Bandiere di Combattimento e gli Stendardi Navali che già appartennero alle unità della Marina Militare Italiana che dal 1861 ad oggi sono state impiegate, in pace come in guerra, su tutti i mari del mondo. (A cura dell’Ufficio Storico della Marina Militare).