di Roberto Luciani
In considerazione della situazione di degrado che antichi monumenti romani in marmo presentano, alcuni di loro sono attualmente oggetto di una serie di studi volti ad accertare il loro reale stato di conservazione in prospettiva di un prossimo intervento di restauro.
E’ fondamentale chiarire che a produrre gli effetti allarmanti che si osservano, non possono essere indicati come cause determinanti questi o quei fattori, ma è doveroso e scientificamente corretto affermare che una somma di fattori, spesso lontani nel tempo, hanno influito sulla conservazione.
Tra le cause principali abbiamo l’inquinamento atmosferico con l’alterazione chimica della roccia, le vibrazioni indotte provocate da mezzi a motore, le efflorescenze costituite da sali solubili in acqua che cristallizzano in superficie, l’azione profonda dei terremoti, l’attività svolta dai cercatori di materiali di riutilizzo dai primi secoli del medioevo e fin al XVI secolo, l’asportazione sistematica dei perni in metallo di collegamento dei vari conci in pietra, le lunghe fasi di abbandono, gli antichi interventi di restauro e consolidamento, l’ossidazione delle barre in ferro, la costituzione del manufatto con materiali e pietre di vario tipo.
Se il problema del degrado superficiale delle antiche strutture è un fenomeno di per sé preoccupante, questo diventa drammatico nel momento in cui le testimonianze più significative della storia dell’arte romana, rappresentate dai rilievi degli archi trionfali, si sfaldano, perdendo progressivamente superfici di marmo lavorato.
Per ritardare il degrado e la perdita dei preziosi rilievi dei tre archi romani superstiti, di Tito, Settimio Severo e Costantino, stanno per avviarsi specifici restauri da parte della Soprintendenza di Stato afferente al Ministero dei Beni Culturali.
In questa nota analizzeremo gli interventi conservativi, non sempre corretti, che in passato i tre monumenti hanno subito.

Arco di Tito
Edificato nel 71 d.C. nella parte alta della via Sacra per commemorare il trionfo degli imperatori Vespasiano e Tito sui Giudei e la presa di Gerusalemme, l’arco sviluppa un solo fornice al cui interno due rilievi narrano due momenti del trionfo. E’ realizzato in marmo pentelico sviluppando un’altezza di m 15,40.
I fianchi dell’arco furono gravemente compromessi dalle fortificazioni medioevali dei Frangipane che incorporarono totalmente il monumento. Si conservò solamente il fornice centrale con le importanti decorazioni in rilievo parzialmente danneggiate dai fori praticati per il fissaggio di un grande portone.
Una parziale opera di rinforzo fu realizzata al tempo di Sisto IV (1471-1484), ma bisognerà attendere il XIX secolo per ottenere un vero restauro iniziato nel 1818 da Raffaele Stern e terminato nel 1822 da Giuseppe Valadier. I due architetti provvidero a ripristinarlo nella sua originaria struttura utilizzando il travertino al posto del marmo così da dare l’immediata percezione delle parti aggiunte. Partendo dai resti del basamento originario per ricostruire con le esatte proporzioni le dimensioni dei corpi laterali, riuscirono ad ottenere una fedele restituzione dell’immagine antica. Le colonne non scanalate e la resa sommaria di alcune decorazioni tennero lontano il restauro dal pericolo di risultare un’imitazione o un falso.
Nel 1900 l’archeologo Giacomo Boni intraprese uno scavo abbassando il livello del suolo sotto l’arco, ritrovando un piano lastricato stradale precedente la costruzioni del monumento e mettendo in luce un tratto delle fondazioni in opus caementicium in scaglie di travertino e selce. Lo studioso compì inoltre esperimenti di pulitura delle incrostazioni, che in alcuni casi nascondevano i fregi e le decorazioni, riuscendo a scoprire la patina antica del monumento senza alterarla.

Arco di Settimio Severo
Posto ai piedi del Campidoglio, fra i Rostri e la Curia, fu innalzato dal Senato e dal Popolo Romano nel 203 d.C. in onore di Settimio Severo e dei figli Geta e Caracalla per ricordare la pace ristabilita alle frontiere orientali dell’impero, con la vittoria nel 202 contro i Parti.
Dopo l’assassinio di Geta il suo nome fu cancellato dalla iscrizione. L’arco, che sviluppa tre fornici fiancheggiati da quattro colonne di ordine composito poggiate su plinti di travertino e mattoni, è alto m. 20,90 ed è completamente rivestito di marmo pentelico e in origine era sormontato da una quadriga bronzea. La ricchissima decorazione scultore, limitata alle due facciate principali, narra le campagne partiche.
Nel VI secolo fu edificata sui Rostri, accanto all’arco, la chiesa dei SS. Sergio e Bacco. Alla fine del XII secolo il clero della chiesa ottenne il permesso di chiudere il fornice sinistro edificandovi una torre. L’altro fornice era dal 1199 in possesso della famiglia Ciminus, la quale eresse un’altra torre, che dominava la via pubblica, che cessò di passare così sotto l’arco.
Nel 1520, sotto il pontificato di Leone X, dato il continuo innalzarsi dell’area forense, colma di terra e detriti, furono intrapresi scavi e fu reso agibile il fornice centrale.

Tra il 1559 e il 1565, durante il pontificato di Pio IV, fu demolita la chiesa dei SS. Sergio e Bacco, nel 1636 fu demolita la torre, mentre ancora nel Settecento i due fornici erano occupati da botteghe.
Per volere di Pio VII nel 1803, con scavi organizzati da Carlo Fea, si dissotterrò l’arco e nella parte ingombra dalle macerie si cinse con un muro. Nel 1831 si demolì una parte del muro di cinta e si riaprì la comunicazione tra questo monumento e gli altri edifici del Clivo Capitolino.

Nel 1895 iniziarono gli scavi di Giacomo Boni e con lavori, che durarono due anni, fu consolidata e restaurata la facciata che guarda verso il Foro. In quel tempo si riparò il selciato di copertura dell’arco, attraverso cui filtravano le acque piovane, si rimisero al loro posto due grandi blocchi della cornice dell’attico e si consolidarono le colonne applicando fasciature di rame e persi a vite.

Arco di Costantino
Situato tra l’Anfiteatro Flavio e la via Sacra, ha tre fornici e fu decretato dal Senato per celebrare la vittoria di Costantino su Massenzio. Fu inaugurato il 25 luglio del 315 d.C. e per la realizzazione della sua parte decorativa furono usati rilievi e statue di epoche e materiali diversi: otto medaglioni e quattro frammenti di un rilievo storico di età traianea; otto medaglioni con scene di caccia e sacrificio del periodo di Adriano; otto rilievi rettangolari con fatti civili, militari e religiosi del periodo di Marco Aurelio; due rilievi e due medaglioni con gesta dell’imperatore Costantino.
Sopra l’attico sorgeva un coronamento a spalletta che è raffigurato in alcuni affreschi, il più chiaro dei quali è quello botticelliano della Cappella Sistina, e in vari disegni come quello di Antonio da Sangallo il Giovane (c. 1520) e quello di Antonio Desgodetz (1682).
Le fonti parlano di primi interventi sul monumento, sia di spoliazione che di restauro, solo dal VI secolo. Nel 1534, al tempo di Clemente VII, secondo l’asserzione di Antonio Mureto, le teste originali degli otto Daci furono tolte da Lorenzino dei Medici, il quale effettuò molte altre spoliazioni minori.
Nel 1562, sotto Pio IV, incominciarono i lavori per l’erigenda Porta del Popolo, lavori che secondo Rodolfo Lanciani provocheranno ulteriori manomissioni all’arco di Costantino.
Il 27 giugno del 1570, il “primo conservatore” Pietro Aldobrandi, dopo aver fatto presente che “all’arco sono state tolte molte spranghe di restauro e che la vegetazione stava dissestando le sculture”, stanziò cento scudi “pro reficiomento et consueruatione” del “predetto arco”. Nel 1597 una delle otto colonne di giallo antico venne asportata per finire nella basilica di San Giovanni in Laterano venendo sostituita con una colonna di marmo bianco.

Nel 1720, sotto Clemente XI, vengono eseguite operazioni di restauro, la più consistente delle quali porta alla sostituzione della colonna d’angolo prospiciente la fontana della Meta Sudans con una di pavonazzetto.
Sotto il pontificato di Pio VII, nel 1804, si provvide alla liberazione dell’arco, allo scavo dell’area circostante ed al rifacimento della cornice terminale dell’attico. Il piano di copertura sovrastante le volte dell’ambulacro interno fu selciato con i “bolognini”. Nel 1842 furono effettuate la collocazione delle otto teste delle statue dei Daci situate sopra le trabeazioni aggettanti di ciascuna colonna, e la posa in opera di numerosi perni e grappe in ferro, nonché tassellature in cemento soprattutto nelle parti basamentali.
Nel 1930, nel periodo del Governatorato, si sistemò via di San Gregorio, allargandola e abbassando il piano stradale a livello dello spiccato dell’arco. Nel 1955 furono rafforzate le quattro colonne laterali, l’operazione è stata effettuata perforando le colonne in tutta la loro lunghezza e immettendovi un’armatura in acciaio.