18 giugno 2020, dalle 11:00 alle 21:00
10 ANNI DI MAXXI. UNA STORIA PER IL FUTURO
Il domani è un’idea che ti cambia. Oggi.
Festival online per i 10 anni del MAXXI
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e sul sito de La Repubblica
Da non perdere il dialogo tra David Adjaye, autore del rivoluzionario museo di storia e cultura afroamericana di Washington, Cino Zucchi, Marinella Senatore e il critico Marco Scotini sulla capacità dell’arte di rafforzare i legami comunitari, e di creare spazi inclusivi in un momento in cui il tema della lotta al razzismo domina il discorso globale (ore 17.40).
Marinella Senatore (Cava de’ Tirreni, 1977) è un’artista che ha la multidisciplinarietà nel DNA: ha studiato violino, cinema e arte, che nella sua pratica artistica mescola con danza e teatro per dare vita a un’esperienza artistica collettiva e partecipativa che va a comporre una storia.
Fondatrice della School of Narrative Dance, un progetto didattico incentrato su inclusione e crescita personale, Senatore ha portato le sue performance dalla Cina all’Ecuador, ma ha sempre conservato un rapporto speciale con New York e gli Stati Uniti.
Maurita Cardone intervista Marinella Senatore.
Negli anni hai sviluppato una pratica artistica che si muove sulle linee di confine tra diverse discipline. Come sei arrivata a concepire questa struttura? È stato molto naturale. Io ho due lauree in arte e sono professore in università in giro per il mondo, anche se molto part time, quindi anche l’attività didattica è importante per me. Però ho fatto la Scuola di cinematografia a Roma e sono violinista professionista perché ho studiato al conservatorio. Questi due background del cinema e della musica, dove ci sono situazioni di costruzione creativa collettiva, sono stati fondamentali nel concepire questa struttura multidisciplinare.
Nell’ambito dell’inchiesta sul black power, abbiamo dato voce a sir david adjaye, architetto fra i più celebri dell’epoca attuale. Pochi mesi separano Adjaye Associates dal traguardo dei vent’anni di attività. Fondato nel 2000 da Sir David Adjaye (Dar el Salaam, 1966), lo studio con sedi a Londra, New York e Accra ha in due decadi conosciuto una crescente notorietà, culminata nel 2017 con la realizzazione dello Smithsonian NMAAHC di Washington. Primo museo degli Stati Uniti dedicato alla storia e alla cultura afroamericana, il progetto ha consacrato il britannico ghanese classe 1966 a prima archistar nera in una costellazione professionale da sempre dominata da un “club di uomini bianchi”. Una carriera legata a doppio filo con il mondo dell’arte: dagli esordi con gli atelier nell’East London alle collaborazioni con Chris Ofili e Olafur Eliasson, fino al sodalizio con il curatore Okwui Enwezor, che lo volle al suo fianco in occasione della Biennale di Venezia 2015. Una partnership che vede il suo ultimo atto nel debutto del Ghana all’edizione 2019 della kermesse lagunare, ora in partenza.
Marta Atzeni intervista David Adjaye.
Oltre che per la cura dei materiali, la tua architettura si distingue per l’uso magistrale della luce. Ci puoi raccontare come hai combinato questi elementi nella Ruby City della Linda Pace Foundation appena inaugurata a San Antonio?
Il museo è un “rubino rosso”: un’immagine che deriva dallo schizzo che Linda mi mostrò in seguito a un sogno, e insieme un omaggio alla terra ricca di ossido su cui sorge. Per trasformare il sogno di Linda in realtà, abbiamo lavorato sulla matericità del progetto. È stata una sfida complicata: come colorare di rosso una pietra? In Texas il sole è così intenso che una tinta tradizionale sarebbe svanita rapidamente! Abbiamo quindi optato per pannelli in cemento, trovando nel vicino Messico gli artigiani di cui avevamo bisogno: con le loro sorprendenti competenze hanno composto la miscela di inerti e vernici che garantisce le necessarie longevità e resistenza. La loro maestria ci ha permesso di realizzare un edificio con un’incredibile colorazione, fatta di sottili variazioni di toni di rosso. Per esaltarla abbiamo aggiunto all’impasto del cemento frammenti di vetro: durante la giornata generano riflessi sempre diversi, in base alla posizione dell’osservatore e a quella del Sole.
Il dialogo tra arte e ambiente è stato declinato negli anni nei modi più diversi e ha assunto numerose forme. In ambito italiano, l’esperienza del Parco Arte Vivente di Torino fa incontrare e mescola un’arte che si nutre di natura e nella natura vive con produzioni più orientate alle soluzioni sia tecnologiche che sociali e lavori e artisti con le radici ben piantate nell’antropologia. Nato nel 2009 da un’idea dell’artista Pietro Gilardi, il parco comprende spazi espositivi all’aperto come anche all’interno, dove ospita inoltre laboratori didattici. Il PAV organizza mostre temporanee che esplorano le varie declinazioni di un’arte che sperimenta nuovi modi di relazione tra uomo e ambiente e indaga sul ruolo della creatività nella ridefinizione di queste relazioni. A curare le mostre, dal 2014, è Marco Scotini, critico, autore e curatore.
In serata, si continua parlando di arte pubblica, ambiente e sostenibilità con l’artista Tomás Saraceno, con Cecilia Alemani, direttrice dell’High Line di New York e della prossima Biennale Arte di Venezia e con Bartolomeo Pietromarchi, direttore Maxxi Arte (20.15), mentre la paesaggista Petra Blaisse, che firmerà l’allestimento della mostra Una storia per il futuro per il museo romano, discute con Hou Hanru su progettazione ed ecologia (20.30).
Designboom intervista il designer olandese Petra Blaisse
Con una carriera iniziata nella progettazione di mostre, Petra Blaisse è diventata famosa per aver lavorato in una vasta gamma di tessuti, interni, paesaggi e giardini. da quando ha fondato lo studio multidisciplinare all’interno nel 1991, il designer olandese ha continuato a lasciare il segno su una vasta gamma di progetti, dagli interventi interni più piccoli agli spazi pubblici su larga scala.
Alla fine del 2019, Blaisse ha dato una presentazione approfondita di interno esterno ‘s lavoro al Festival dell’architettura mondiale ad Amsterdam. il discorso ha messo in luce molte idee interessanti e strumenti di progettazione che lo studio incorpora nei loro progetti, come riportare la natura selvaggia nell’ambiente costruito, la sostenibilità e l’uso del disegno manuale e dei test pratici.
Designboom (DB): il tuo studio, dentro e fuori , lavora attraverso una moltitudine di campi creativi, come cambia il tuo approccio con diversi progetti?
Petra Blaisse (PB): ogni progetto è unico e il nostro lavoro è veramente site specific; affrontiamo ogni brief in modo diverso perché ogni fattore cambia: il paese, le condizioni del sito, l’architetto, il cliente, il contratto, il budget. anche i collaboratori. Hai sempre una rete di persone con cui lavori su un progetto, che ti è stato dato o che hai trovato da te, e quindi dobbiamo davvero riconsiderare tutto il tempo, come se iniziassi da zero.
Hou Hanru è un critico e curatore che vive tra Parigi e San Francisco. Nato nel 1963 a Guangzhou, in Cina, si è laureato all’Accademia Centrale di Belle Arti di Pechino. Dal 2006 al 2012 è stato “Director of Exhibitions and Public Programs” e “Chair of Exhibition and Museum Studies” al San Francisco Art Institute. Ha curato numerose mostre in tutto il mondo e diverse Biennali, tra cui, alla Biennale di Venezia, il Padiglione Francese nel 1999, la mostra Z.O.U – Zone of Urgency nel 2003 e il Padiglione Cinese nel 2007; la Biennale di Shanghai nel 2000, quella di Tirana nel 2005, quella di Istanbul nel 2007 e quella di Lione nel 2009. Co-direttore del primo “World Biennale Forum” di Gwangiu nel 2012, è il curatore della quinta Triennale di Auckland (maggio-agosto 2013, Auckland, Nuova Zelanda). È stato consulente in numerose istituzioni internazionali, tra cui Walker Art Center (Minneapolis) e Solomon R. Guggenheim Museum (New York). Collabora regolarmente con riviste internazionali d’arte, tra cui “Flash Art International”, “Art in America”, “Art Asia Pacific”, “Yishu”, “Art-It”.
Sarà la prima direttrice donna italiana alla guida della 59. biennale arte di venezia: la meritatissima nomina va alla curatrice milanese, che ha formato gran parte della sua carriera a new york. tra le novità della biennale continua però ad aleggiare un grande interrogativo: chi sarà il prossimo presidente?
Sarà Cecilia Alemani (Milano, 1977) a coprire l’incarico di Direttore del Settore Arti Visive della 59. Esposizione Internazionale d’Arte, che si svolgerà a Venezia nel 2022. Un playground già noto alla curatrice, la quale nel 2017 aveva dato forma al Padiglione Italia portando per la prima volta solamente tre artisti, Roberto Cuoghi, Giorgio Andreotta Calò e Adelita Husni-Bey.
Tra le tante mostre su autori contemporanei all’attivo, ad oggi la Alemani è responsabile e capo curatore di High Line Art, parco urbano sopraelevato costruito su una ferrovia abbandonata di New York, in cui sono esposti progetti artistici con grande attenzione alla visione internazionale. Tra gli artisti da lei esposti si ricordano El Anatsui, John Baldessari, Phyllida Barlow, Carol Bove, Sheila Hicks, Rashid Johnson, Barbara Kruger, Zoe Leonard, Faith Ringgold, Ed Ruscha, Nari Ward e Adrián Villar Rojas. Una carriera brillante costellata di successi, che annovera collaborazioni con musei del calibro della Tate Modern di Londra e del MoMA PS1 di New York, per istituzioni no profit come Artists Space e Art in General (New York) e fondazioni private come la Deste Foundation.
Giulia Ronchi intervista Tomás Saraceno. Ragnatele come opere d’arte, il cosmo come geometrie, vibrazioni e suoni: ecco la mostra di Palazzo Strozzi Tomás Saraceno. Aria esplora le possibilità e la nostra capacità di metterci in contatto con il mondo in modo nuovo Dal 22 febbraio al 19 luglio 2020 Palazzo Strozzi presenta Tomás Saraceno. Aria, una grande mostra, a cura di Arturo Galansino, dedicata a uno dei più originali e visionari artisti contemporanei al mondo, la cui ricerca poliedrica e creativa unisce arte, scienze naturali e sociali. Saraceno crea opere immersive che invitano a cambiare punto di vista sulla realtà e a entrare in connessione con fenomeni ed elementi non umani come polvere, ragni e piante che diventano protagonisti delle sue installazioni e metafore della nostra percezione del cosmo. La mostra, suo più ampio progetto mai realizzato in Italia, esalta il contesto storico e simbolico di Palazzo Strozzi e di Firenze attraverso un profondo e originale dialogo tra Rinascimento e contemporaneità, proponendo un cambiamento del modello di riferimento: dall’uomo al centro del mondo, all’uomo come parte di un universo in cui ricercare una nuova armonia.
Il Maxxi di Roma festeggia online i suoi primi 10 anni chiedendo ad artisti, curatori, architetti, scienziati da Renzo Piano a Ilaria Capua, di immaginare il domani.
Sarà una festa, un “ponte” tra ciò che abbiamo realizzato durante il lockdown e la riapertura dei nostri spazi”.
Con David Adjaye, Cecilia Alemani, Zdenka Badovinac, Petra Blaisse, Bernard Blistène, Stefano Boeri, Edoardo Bonaspetti, Manuel Borja – Villel, Ilaria Capua, Maristella Casciato, Roberto Cicutto, Jose Miguel G. Cortés, Sarah Cosulich, Formafantasma, Piero Gilardi, Massimiliano Gioni, Thomas Hirschhorn, Rem Koolhaas, Emma Lavigne, Luigi Lo Cascio, Luca Lo Pinto, Matteo Lucchetti, Francesco Manacorda, Miltos Manetas, Simone Marchetti, Diego Marcon, Sara Marini, Cuauhtémoc Medina, Frances Morris, Alexandra Munroe, Michela Murgia, Victoria Noorthoorn, Hans Ulrich Obrist, Daniel Perlin, Renzo Piano, Cesare Pietroiusti, Roberto Pisoni, Michelangelo Pistoletto, Carlo Ratti, Tomás Saraceno, Hashim Sarkis, MarcoScotini, Marinella Senatore, Martino Stierli, Lucy Styles, Massimiliano Tonelli, Nico Vascellari, Andrea Viliani, Monique Veaute, Kathryn Weir, Gong Yan, Mirko Zardini, Cino Zucchi e molti altri.